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QUARESIMA 2015

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2015

Rinfrancate i vostri cuori (Gc 5,8)

 

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade. Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza. Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare.

Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone. Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza.

L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano.

Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo. Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra. E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6). Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita.

Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento, per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso. Vorrei proporvi tre passi da meditare per questo rinnovamento.

1. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor 12,26) – La Chiesa

La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini. Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo.

La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26).

La Chiesa è communio sanctorum perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore. In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza.

2. “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4,9) – Le parrocchie e le comunità

Quanto detto per la Chiesa universale è necessario tradurlo nella vita delle parrocchie e comunità. Si riesce in tali realtà ecclesiali a sperimentare di far parte di un solo corpo? Un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare? Un corpo, che conosce e si prende cura dei suoi membri più deboli, poveri e piccoli? O ci rifugiamo in un amore universale che si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria porta chiusa ? (cfr Lc 16,19-31).

Per ricevere e far fruttificare pienamente quanto Dio ci dà vanno superati i confini della Chiesa visibile in due direzioni.

In primo luogo, unendoci alla Chiesa del cielo nella preghiera. Quando la Chiesa terrena prega, si instaura una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio. Con i santi che hanno trovato la loro pienezza in Dio, formiamo parte di quella comunione nella quale l’indifferenza è vinta dall’amore. La Chiesa del cielo non è trionfante perché ha voltato le spalle alle sofferenze del mondo e gode da sola. Piuttosto, i santi possono già contemplare e gioire del fatto che, con la morte e la resurrezione di Gesù, hanno vinto definitivamente l’indifferenza, la durezza di cuore e l’odio. Finché questa vittoria dell’amore non compenetra tutto il mondo, i santi camminano con noi ancora pellegrini. Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, scriveva convinta che la gioia nel cielo per la vittoria dell’amore crocifisso non è piena finché anche un solo uomo sulla terra soffre e geme: “Conto molto di non restare inattiva in cielo, il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime” (Lettera 254 del 14 luglio 1897).

Anche noi partecipiamo dei meriti e della gioia dei santi ed essi partecipano alla nostra lotta e al nostro desiderio di pace e di riconciliazione. La loro gioia per la vittoria di Cristo risorto è per noi motivo di forza per superare tante forme d’indifferenza e di durezza di cuore.

D’altra parte, ogni comunità cristiana è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri e i lontani. La Chiesa per sua natura è missionaria, non ripiegata su se stessa, ma mandata a tutti gli uomini.

Questa missione è la paziente testimonianza di Colui che vuole portare al Padre tutta la realtà ed ogni uomo. La missione è ciò che l’amore non può tacere. La Chiesa segue Gesù Cristo sulla strada che la conduce ad ogni uomo, fino ai confini della terra (cfr At1,8). Così possiamo vedere nel nostro prossimo il fratello e la sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto. Quanto abbiamo ricevuto, lo abbiamo ricevuto anche per loro. E parimenti, quanto questi fratelli possiedono è un dono per la Chiesa e per l’umanità intera.

Cari fratelli e sorelle, quanto desidero che i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!

3. “Rinfrancate i vostri cuori !” (Gc 5,8) – Il singolo fedele

Anche come singoli abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana e sentiamo nel medesimo tempo tutta la nostra incapacità ad intervenire. Che cosa fare per non lasciarci assorbire da questa spirale di spavento e di impotenza?

In primo luogo, possiamo pregare nella comunione della Chiesa terrena e celeste. Non trascuriamo la forza della preghiera di tanti! L’iniziativa 24 ore per il Signore, che auspico si celebri in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo, vuole dare espressione a questa necessità della preghiera.

In secondo luogo, possiamo aiutare con gesti di carità, raggiungendo sia i vicini che i lontani, grazie ai tanti organismi di carità della Chiesa. La Quaresima è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo, ma concreto, della nostra partecipazione alla comune umanità.

E in terzo luogo, la sofferenza dell’altro costituisce un richiamo alla conversione, perché il bisogno del fratello mi ricorda la fragilità della mia vita, la mia dipendenza da Dio e dai fratelli. Se umilmente chiediamo la grazia di Dio e accettiamo i limiti delle nostre possibilità, allora confideremo nelle infinite possibilità che ha in serbo l’amore di Dio. E potremo resistere alla tentazione diabolica che ci fa credere di poter salvarci e salvare il mondo da soli.

Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31). Avere un cuore misericordioso non significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro.

Per questo, cari fratelli e sorelle, desidero pregare con voi Cristo in questa Quaresima: “Fac cor nostrum secundum cor tuum”: “Rendi il nostro cuore simile al tuo” (Supplica dalle Litanie al Sacro Cuore di Gesù). Allora avremo un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza.

Con questo auspicio, assicuro la mia preghiera affinché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra con frutto l’itinerario quaresimale, e vi chiedo di pregare per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

Dal Vaticano, 4 ottobre 2014

Festa di San Francesco d’Assisi

GIORNATA PER LA VITA CONSACRATA

Portare l’abbraccio di Dio. La Vita Consacrata nella compagnia degli uomini

logo anno vita consacrata

L’Anno della Vita Consacrata, mette in evidenza che le persone consacrate sono un dono dello Spirito alla Chiesa intera e, pertanto, ad ogni Chiesa particolare.
Ogni forma di vita consacrata, guardando al passato con gratitudine, vivendo il presente con passione e abbracciando il futuro con speranza, porta l’abbraccio di Dio e fa compagnia all’umanità, pone in sinergia la tenerezza avvolgente di Dio e la capacità umana di affondare le radici nella terra fertile della storia del proprio popolo, come se fossero due braccia.
L’orizzonte sacramentale, il corpo che sviluppa questo abbraccio è e resta la Chiesa, di cui le consacrate e i consacrati sono parte, perché presi dal popolo ed inviati in mezzo al popolo, mentre il luogo dove questo abbraccio incontra preferenzialmente l’uomo è nella vita e nelle “periferie della storia”. E’ qui che l’uomo fa esperienza del “padre misericordioso” (Lc 15, 11-32) e del “bel pastore” (Gv 10, 1-21), di quel Dio in “uscita” che si prende cura dell’uomo ferito (Lc 10, 25-37), di colui che ha “scantonato” (don Milani) e rischia di perdersi nella sua solitudine, ammantandolo di tenerezza.
Tutta la Chiesa, in particolare i consacrati e le consacrate, alla scuola del Vangelo e dei carismi, devono essere profezia di questa tenerezza che incontra l’uomo, ricordando all’umanità che la tenerezza non è debolezza, ma balsamo nei solchi della carne degli uomini, segno di una vita bella sbocciata nei cuori pacificati e liberi, evidenza della civiltà dell’amore.
I Santi sono i testimoni di questa profezia, loro hanno cambiato la Chiesa e la società, hanno trasformato il potere in servizio, il possesso in custodia. Sono loro i veri rinnovatori e consolatori, quelli che hanno intrapreso con coraggio il cammino dell’esodo del popolo, camminando umilmente in mezzo ad esso, operando scelte controcorrente, lasciandosi affascinare da una lettura più semplice del Vangelo.
Oggi, come sempre, occorre vivere la vita consacrata e ogni forma di vita credente, osando le “periferie” della storia. Non è semplice, perché accettare di “uscire” è già dramma, perché la stabilità e il consolidamento delle abitudini o dello stesso stato di vita rappresentano una definita sicurezza personale e collettiva.
Solo l’amore osa, solo l’amore mette a soqquadro le sicurezze personali e di sistema, solo l’amore libera dall’autosufficienza che blinda le esistenze e le relazioni, solo l’amore decentra, facendo vivere oltre il proprio io. Questa è la bellezza esistenziale di ogni battezzato, di ogni consacrato/a che “esce” da se stesso e impara a stare alla “sequela” di Gesù, che impara ad abitare le “periferie”, vero spazio esistenziale, dove ci si può perdere, ma dove si impara anche a farsi compagnia incontrando gli ultimi, quel “sub-umano” che in verità è avamposto dell’umanità, vera profezia per il mondo.
Da questa frontiera dell’umano, sul bordo della “siepe… mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete” (Giacomo Leopardi, L’infinito), o venendo “dalla fine del mondo” (Papa Francesco) si diviene capaci di vedere il presente, di vedere l’Oltre, perché l’escatologia –il Cielo sperato- non appartiene a coloro che saltano l’umano, ma a chi impegna tutta la vita a frequentare i solchi dell’umanità ferita. Le “periferie”, in questo senso, non sono “margine”, sebbene possano trovarsi al margine, ma rappresentano il cuore della realtà e dell’uomo, il cuore stesso della Chiesa e l’anticipazione delle realtà future. Comprendiamo allora perché l’esperienza del monachesimo e la sua dimensione profetica consista proprio nel “mettersi ai margini” per custodire “la grazia a caro prezzo”, diventando «una protesta vivente contro la mondanizzazione del cristianesimo, contro la riduzione della grazia a merce a poco prezzo»; «ai margini della chiesa, si trovava il luogo dove fu tenuta desta la cognizione della grazia a caro prezzo e del fatto che la grazia implica la sequela» (D. Bonhoeffer, Sequela, Queriniana, Brescia 2001, pp. 30-31). Questa è la vera “rivoluzione”, non solo sociale, ma soprattutto antropologica e teologale: avere uno sguardo aperto sul futuro buono di Dio, perché non è un mondo che sta morendo, ma un nuovo mondo che sta nascendo.
Certo, la vita consacrata in Italia, come in Europa, vive una fase di progressivo invecchiamento e di costante perdita di rilevanza sociale, fattori che segnano lo slancio missionario e il morale dei suoi membri, ma “senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il <sale> della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione” (Evangelica testificatio, 3). Pertanto, rimane fondamentale che le consacrate e i consacrati, sebbene ridotti numericamente, continuino ad essere traccia dell’Assoluto in un mondo che tenta di cancellare ogni traccia di Dio dal vissuto collettivo e pubblico, come dall’interiorità dei cuori; continuino a testimoniare la dedizione generosa a favore dei poveri.
In verità la debolezza, o la minorità, che solitamente è vista come condizione che rende inabili al servizio, quando vissuta evangelicamente non manca di essere feconda e creativa, perché non c’è nulla di più fecondo nella vita secondo lo Spirito di quando “non c’è nulla”, quando la relazione tra Dio e l’uomo è segnata essenzialmente da un cuore rivolto senza posa verso Dio (Os. 2, 16), partendo dal quale Dio si fa creatore e sposo (Os. 2, 20-21).
Rinnovare la stima e la gratitudine a tutte le consacrate e ai consacrati per quello che sono e testimoniano nel cuore stesso delle Chiesa e del mondo, significa fare nostre le parole accorate di Papa Francesco: “Invito voi, Pastori delle Chiese particolari, a una speciale sollecitudine nel promuovere nelle vostre comunità i distinti carismi, sia quelli storici sia i nuovi carismi, sostenendo, animando, aiutando nel discernimento, facendovi vicini con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza nelle quali possano trovarsi alcuni consacrati, e soprattutto illuminando con il vostro insegnamento il popolo di Dio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa” (Papa Francesco, A tutti i consacrati, III, 5).

P. Luigi Gaetani, OCD
Vicario Episcopale per la Vita Consacrata Diocesi Bari Bitonto

XXXVII – GIORNATA PER LA VITA

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SOLIDALI PER LA VITA

 

«I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita». Queste parole ricordate da Papa Francesco[1] sollecitano un rinnovato riconoscimento della persona umana e una cura più adeguata della vita, dal concepimento al suo naturale termine. È l’invito a farci servitori di ciò che “è seminato nella debolezza” (1 Cor 15,43), dei piccoli e degli anziani, e di ogni uomo e ogni donna, per i quali va riconosciuto e tutelato il diritto primordiale alla vita[2].

Quando una famiglia si apre ad accogliere una nuova creatura, sperimenta nella carne del proprio figlio “la forza rivoluzionaria della tenerezza”[3] e in quella casa risplende un bagliore nuovo non solo per la famiglia, ma per l’intera società.

Il preoccupante declino demografico che stiamo vivendo è segno che soffriamo l’eclissi di questa luce. Infatti, la denatalità avrà effetti devastanti sul futuro: i bambini che nascono oggi, sempre meno, si ritroveranno ad essere come la punta di una piramide sociale rovesciata, portando su di loro il peso schiacciante delle generazioni precedenti. Incalzante, dunque, diventa la domanda: che mondo lasceremo ai figli, ma anche a quali figli lasceremo il mondo?

Il triste fenomeno dell’aborto è una delle cause di questa situazione, impedendo ogni anno a oltre centomila[4] esseri umani di vedere la luce e di portare un prezioso contributo all’Italia. Non va, inoltre, dimenticato che la stessa prassi della fecondazione artificiale, mentre persegue il diritto del figlio ad ogni costo, comporta nella sua metodica una notevole dispersione di ovuli fecondati, cioè di esseri umani, che non nasceranno mai.

Il desiderio di avere un figlio è nobile e grande; è come un lievito che fa fermentare la nostra società, segnata dalla “cultura del benessere che ci anestetizza”[5] e dalla  crisi economica che pare non finire. Il nostro paese non può lasciarsi rubare la fecondità.

È un investimento necessario per il futuro assecondare questo desiderio che è vivo in tanti uomini e donne. Affinché questo desiderio non si trasformi in pretesa occorre aprire il cuore anche ai bambini già nati e in stato di abbandono. Si tratta di facilitare i percorsi di adozione e di affido che sono ancora oggi eccessivamente carichi di difficoltà per i costi, la burocrazia  e, talvolta, non privi di amara solitudine. Spesso sono coniugi che soffrono la sterilità biologica e che si preparano a divenire la famiglia di chi non ha famiglia, sperimentando “quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita” (Mt 7,14).

La solidarietà verso la vita – accanto a queste strade e alla lodevole opera di tante associazioni – può aprirsi anche a forme nuove e creative di generosità, come una famiglia che adotta una famiglia. Possono nascere percorsi di prossimità nei quali una mamma che aspetta un bambino può trovare una famiglia, o un gruppo di famiglie, che si fanno carico di lei e del nascituro, evitando così il rischio dell’aborto al quale, anche suo malgrado, è orientata.

Una scelta di solidarietà per la vita che, anche dinanzi ai nuovi flussi migratori, costituisce una risposta efficace al grido che risuona sin dalla genesi dell’umanità: “dov’è tuo fratello?”(cfr. Gen 4,9). Grido troppo spesso soffocato, in quanto, come  ammonisce Papa Francesco “in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”[6].

La fantasia dell’amore può farci uscire da questo vicolo cieco inaugurando un nuovo umanesimo: «vivere fino in fondo ciò che è umano (…) migliora il cristiano e feconda la città»[7]. La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci attende e parte dal sì alla vita.

 

 

Roma, 7 ottobre 2014

Memoria della Beata Vergine del Rosario

 

 

Il Consiglio Permanente

della Conferenza Episcopale Italiana

 

 

 

[1] Papa Francesco, Viaggio Apostolico a Rio de Janeiro in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della gioventù. Angelus,  Venerdì 26 luglio 2013.

[2] Cfr. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei medici cattolici, Venerdì 20 settembre 2013.

[3] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 288.

[4] Cfr. relazione del Ministro della Salute al Parlamento Italiano del 13 settembre 2013.

[5] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 54.

[6] Papa Francesco, Visita a Lampedusa. Omelia presso il campo sportivo “Arena” in Località Salina, 8 luglio 2013.

[7] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 75.

“STILI DI VITA” (alla riscoperta della propria umanità)

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        “STILI DI VITA”

  AMORE E AFFETTIVITA’

gennaio 16 @ 19:3021:00

In una società che esercita una forte pressione in direzione dell’acquisizione di modelli di vita centrati sull’apparenza, sull’efficienza, sul benessere e spesso disattenti a significati più alti, vi proponiamo un percorso formativo che vuole offrire ai destinatari un piccolo contributo per la riflessione e, magari, renda capaci di comportamenti nuovi, anche difformi dalla mentalità corrente. Sarà un cammino fatto di sei  tappe, una al mese, in cui ci soffermeremo a riflettere, anche con l’ausilio di esperti, sulle esperienze  che si vivono nella quotidianità e a chiederci come la Parola del Signore possa introdursi feconda nella nostra vita .

(in particolare per genitori, per i coniugi, per le giovani coppie, fidanzati, e giovani)

Vi aspettiamo con gioia.

L’EQUIPE DI PASTORALE FAMILIARE

16/01/2015 ore 19,30   Amore e affettività (Salone Parrocchiale)

20/02/2015 ore 20,00   Carità e giustizia (Salone Parrocchiale)

20/03/2015 ore 20,00   Malattia e sofferenza (Salone Parrocchiale)

17/04/2015 ore 20,15   Rabbia e conflitto (Salone Parrocchiale)

15/05/2015 ore 20,15    Morte e speranza (Salone Parrocchiale)

09/06/2015 ore 20.15    Perdono e gioia (Salone Parrocchiale)

 

N. B.     Garantito servizio intrattenimento e animazione per bambini (presso la biblioteca parrocchiale)

 

Semplicemente… un augurio più umano di buon Natale!

«Tu sei Signore, dovunque l’uomo diventa più umano. Sei nel grido vittorioso del bambino che nasce, sei nell’ultima parola del morente, sei nell’abbraccio degli amanti. Tu sei in ogni senso di illuminazione, in ogni anelito di vita, in ogni segno di bellezza, in ogni sogno di bellezza, in ogni rinuncia per un grande amore. La tua venuta è nella certezza forte e inebriante che nel cuore di ogni essere vivente Tu sei» (P. G. Mannucci).



4.0.1

Scuola di Democrazia

c1bfd313-64a8-482c-9dd6-759cb602189aL’Associazione politica e culturale “Cercasi un fine”, che da più di un decennio si propone di educare all’ impegno sociale e politico nel quadro delle scienze umane, dei valori fondanti della Costituzione e del Magistero Sociale della Chiesa, insieme alla Parrocchia S. Antonio e all’Associazione “Giovani cittadini”, promuove nel territorio di Monopoli, il secondo anno della Scuola di Democrazia.

Dopo aver riflettuto sugli aspetti storici, filosofici e culturali del concetto di democrazia, la scuola vuole ora proporre a quanti intenderanno partecipare un itinerario di studio e di riflessione su come la democrazia possa e debba incarnarsi nelle autonomie locali.

Nell’Esortazione apostolica post-sinodale “Evngelii Gaudium”, papa Francesco scrive: «Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune» (EG, 205).

Cogliendo questo invito, la Scuola vuole puntare sulla formazione di uomini e donne che prendano seriamente a cuore la cosa pubblica, a partire dall’impegno fattivo verso le problematiche che riguardano la nostra regione e la nostra città, al fine di recuperare la passione di occuparsi del bene comune.

Il primo appuntamento Giovedì 13 novembre alle 20.00 – Salone “don Salvatore Carbonara” – Parrocchia S. Antonio di Monopoli

Pieghevole scaricabile qui

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