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INDULGENZA PLENARIA FESTA S. ANTONIO 2016

decretum ind.

Prot. N. 525/16/I

 

DECRETO

 

La Penitenzieria Apostolica, in virtù delle facoltà che in modo specialissimo le sono state concesse dal Santissimo Padre in Cristo Francesco, per divina provvidenza Papa,  concede benignamente all’eccellentissimo  vescovo di Conversano – Monopoli che, in occasione dell’Anno Santo della Misericordia, nella festa di Sant’Antonio da Padova, dopo la celebrazione del divino Sacrificio nella stessa chiesa parrocchiale di Sant’Antonio a Monopoli, egli possa impartire a tutti i fedeli in Cristo presenti, che abbiano presenziato ai riti sacri con autentica contrizione e spinti da carità, la BENEDIZIONE PAPALE con l’annessa INDULGENZA PLENARIA, da lucrare secondo le consuete condizioni (Confessione sacramentale, Comunione Eucaristica e preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice).

In più, nei giorni 12 e 13 GIUGNO i fedeli della parrocchia potranno lucrare l’indulgenza plenaria se avranno recato visita all’immagine del celeste Patrono, esposta alla pubblica venerazione nella chiesa parrocchiale, e lì avranno preso parte alle sacre funzioni o almeno abbiano rivolto preghiere a Dio Misericordioso per la propria fede alla vocazione cristiana, per chiedere vocazioni sacerdotali e religiose, per difendere l’istituto della famiglia terrena, concludendo con il Padre Nostro, il Credo e le litanie alla Beata Vergine Maria e Sant’Antonio.

I devoti fedeli in Cristo impediti dalla vecchiaia, dalla malattia o da altra grave causa, otterranno parimenti l’indulgenza plenaria se, concepita l’esecrazione dei propri peccati e con l’intenzione di compiere, non appena possibile, le tre consuete condizioni, sia siano congiunti spiritualmente alle celebrazioni, davanti ad un’altra piccola immagine di Sant’Antonio in quegli stessi giorni, offrendo con le preghiere i propri dolori o le sofferenze della propria vita a Dio Misericordioso.

Affinché quindi questo accesso al conseguimento della grazia divina attraverso le chiavi della Chiesa si compia più facilmente grazie alla carità pastorale, questa Penitenzieria raccomanda fortemente al Parroco di offrirsi in quegli stessi giorni con animo pronto e generoso alla celebrazione della Confessione e all’ amministrazione della Comunione agli infermi. La presente ha valore per questa ricorrenza.

Nonostante qualunque disposizione contraria.

Dato a Roma, negli uffici della Penitenzieria Apostolica, il giorno 21 del mese di maggio, anno della Divina Incarnazione 2016.

Card. Mauro Piacenza, penitenziere maggiore

Cristoforo Nykiel, reggente

 

Che cos’è l’indulgenza?

E’ l’espressione dell’amore indulgente e misericordioso di Dio nei confronti dell’uomo peccatore. L’indulgenza è la remissione della pena temporale per i peccati già “perdonati” da Dio attraverso la Confessione.

La teologia cattolica insegna che ogni nostro peccato ha duplice conseguenza:

-genera una colpa che è rimessa all’assoluzione sacramentale nella Confessione, attraverso cui il peccatore è rimesso allo stato di grazia e alla comunione con Dio.

-comporta una pena che permane oltre l’assoluzione. L’uomo peccatore, pur riconciliato con Dio, è ancora segnato da quei “residui” del peccato che non lo rendono totalmente aperto alla grazia.

In particolare, la pena temporale può essere scontata sulla terra con preghiere e penitenze, con opere di carità e con l’accettazione delle sofferenze della vita. Per estinguere il debito della pena temporale la Chiesa permette ai fedeli battezzati di accedere alle indulgenze. L’indulgenza può essere parziale (è solo un passo nel cammino di purificazione) o plenaria, totale (com’è quella giubilare), perché è una grazia straordinaria che guarisce completamente l’uomo, facendone una nuova creatura.
Come si ottiene l’indulgenza?

L’indulgenza plenaria è concessa in occasione della Solennità di Sant’Antonio dai Primi Vespri (domenica sera) a tutta la giornata del 13 giugno, al cristiano che segue questi comportamenti:

Primo, ci si deve accostare con cuore contrito al sacramento della Penitenza (anche nei giorni precedenti)

Visita alla chiesa di S. Antonio. Nel visitare la chiesa di S. Antonio si deve partecipare alla Santa Messa, alla Comunione Eucaristica e alla Professione di fede, la preghiera personale conclusa col “Padre nostro”, la Preghiera a Maria Madre della Misericordia. Tutto secondo le intenzioni del Papa, a testimonianza di comunione con tutta la Chiesa.

In terzo luogo, ci si deve impegnare in opere di misericordia e penitenza che esprimano la conversione del cuore.

 

Accogliamo il nostro nuovo pastore Mons. Giuseppe Favale

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Francesco Vescovo Servo dei Servi di Dio al diletto figlio Giuseppe Favale, del Clero della Diocesi di Castellaneta, finora Direttore spirituale nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese, eletto Vescovo di Conversano – Monopoli, salute e apostolica benedizione!
Con tutto il cuore lodiamo il Signor Nostro Gesù Cristo, che venne per servire e fare del bene a tutti, e a Lui affidiamo umilmente i fedeli di tutto il mondo, considerando attentamente le loro necessità pastorali.
Dal momento che la diletta sede episcopale di Conversano – Monopoli, che vanta una storia antica e insigni monumenti, è in attesa di un nuovo pastore, dopo che il venerato Fratello Domenico Padovano ha presentato la rinuncia, abbiamo pensato a te, figlio amato.
Tu, infatti, nella tua diocesi nativa di Castellaneta ti sei sempre alacremente adoperato, rivestendo anche compiti di grande responsabilità, quali la cura parrocchiale della Chiesa Cattedrale e l’ufficio di Vicario generale, mostrando zelo apostolico nell’annunzio del Vangelo e competenza nel campo amministrativo. In questi ultimi anni, poi, hai guidato con saggezza e pietà il progresso spirituale degli alunni del Seminario Pio XI in Molfetta.
Per questo Ci sembri idoneo ad assumere anche l’ufficio episcopale e a guidare saggiamente i fedeli in una parte del Popolo di Dio. Ascoltato, perciò, il consiglio della Congregazione per i Vescovi, nella pienezza della Nostra Potestà Apostolica, ti costituiamo Vescovo di Conversano – Monopoli, con tutti i dovuti diritti e con i relativi doveri. Potrai ricevere ovunque Tu voglia fuori dell’Urbe l’ordinazione episcopale, con l’osservanza delle norme liturgiche. Ma prima dovrai emettere la professione di fede e giurare fedeltà verso di Noi e verso i Nostri Successori, secondo le leggi e le norme della Chiesa. Vogliamo che tu renda noto al Clero e al popolo della tua Diocesi questo Nostro Decreto e invitiamo tutti costoro perché, sotto la tua guida, adempiano fedelmente la volontà di Cristo nella vita quotidiana.
Esortiamo infine anche te, Figlio amato, affinché – tenendo ben presente il tuo motto episcopale guardate al Signore – guidi, per l’intercessione della Beata Vergine Maria della Fonte e dei Santi Flaviano, martire, e Francesco da Paola, la tua comunità ecclesiale con rettitudine e solerzia, proclamando a tutti la Misericordia Divina.
Dato a Roma, presso San Pietro, 5 febbraio 2016, terzo del Nostro Pontificato.

Francesco PP.

SETTIMANA DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 53ª GIORNATA MONDIALE
DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

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La Chiesa, madre di vocazioni

Cari fratelli e sorelle,

come vorrei che, nel corso del Giubileo Straordinario della Misericordia, tutti i battezzati potessero sperimentare la gioia di appartenere alla Chiesa! E potessero riscoprire che la vocazione cristiana, così come le vocazioni particolari, nascono in seno al popolo di Dio e sono doni della divina misericordia. La Chiesa è la casa della misericordia, ed è la “terra” dove la vocazione germoglia, cresce e porta frutto.

Per questo motivo invito tutti voi, in occasione di questa 53ª Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, a contemplare la comunità apostolica, e a ringraziare per il ruolo della comunità nel cammino vocazionale di ciascuno. Nella Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia ho ricordato le parole di san Beda il Venerabile, riferite alla vocazione di san Matteo: «Miserando atque eligendo» (Misericordiae Vultus, 8). L’azione misericordiosa del Signore perdona i nostri peccati e ci apre alla vita nuova che si concretizza nella chiamata alla sequela e alla missione. Ogni vocazione nella Chiesa ha la sua origine nello sguardo compassionevole di Gesù. La conversione e la vocazione sono come due facce della stessa medaglia e si richiamano continuamente in tutta la vita del discepolo missionario.

Il beato Paolo VI, nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, ha descritto i passi del processo dell’evangelizzazione. Uno di essi è l’adesione alla comunità cristiana (cfr n. 23), quella comunità da cui ha ricevuto la testimonianza della fede e la proclamazione esplicita della misericordia del Signore. Questa incorporazione comunitaria comprende tutta la ricchezza della vita ecclesiale, particolarmente i Sacramenti. E la Chiesa non è solo un luogo in cui si crede, ma è anche oggetto della nostra fede; per questo nelCredo diciamo: «Credo la Chiesa».

La chiamata di Dio avviene attraverso la mediazione comunitaria. Dio ci chiama a far parte della Chiesa e, dopo una certa maturazione in essa, ci dona una vocazione specifica. Il cammino vocazionale si fa insieme ai fratelli e alle sorelle che il Signore ci dona: è una con-vocazione. Il dinamismo ecclesiale della chiamata è un antidoto all’indifferenza e all’individualismo. Stabilisce quella comunione nella quale l’indifferenza è stata vinta dall’amore, perché esige che noi usciamo da noi stessi ponendo la nostra esistenza al servizio del disegno di Dio e facendo nostra la situazione storica del suo popolo santo.

In questa Giornata, dedicata alla preghiera per le vocazioni, desidero esortare tutti i fedeli ad assumersi le loro responsabilità nella cura e nel discernimento vocazionale. Quando gli apostoli cercavano uno che prendesse il posto di Giuda Iscariota, san Pietro radunò centoventi fratelli (cfr At 1,15); e per la scelta dei sette diaconi, fu convocato il gruppo dei discepoli (cfr At 6,2). San Paolo dà a Tito criteri specifici per la scelta dei presbiteri (Tt 1,5-9). Anche oggi, la comunità cristiana è sempre presente nel germogliare delle vocazioni, nella loro formazione e nella loro perseveranza (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 107).

La vocazione nasce nella Chiesa. Fin dal sorgere di una vocazione è necessario un adeguato “senso” della Chiesa. Nessuno è chiamato esclusivamente per una determinata regione, né per un gruppo o movimento ecclesiale, ma per la Chiesa e per il mondo. «Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti» (ibid.,130). Rispondendo alla chiamata di Dio, il giovane vede espandersi il proprio orizzonte ecclesiale, può considerare i molteplici carismi e compiere così un discernimento più obiettivo. La comunità diventa, in questo modo, la casa e la famiglia dove nasce la vocazione. Il candidato contempla grato questa mediazione comunitaria come elemento irrinunciabile per il suo futuro. Impara a conoscere e amare fratelli e sorelle che percorrono cammini diversi dal suo; e questi vincoli rafforzano in tutti la comunione.

La vocazione cresce nella Chiesa. Durante il processo di formazione, i candidati alle diverse vocazioni hanno bisogno di conoscere sempre meglio la comunità ecclesiale, superando la visione limitata che tutti abbiamo all’inizio. A tale scopo è opportuno fare qualche esperienza apostolica insieme ad altri membri della comunità, per esempio: accanto ad un buon catechista comunicare il messaggio cristiano; sperimentare l’evangelizzazione delle periferie insieme ad una comunità religiosa; scoprire il tesoro della contemplazione condividendo la vita di clausura; conoscere meglio la missione ad gentes a contatto con i missionari; e con i preti diocesani approfondire l’esperienza della pastorale nella parrocchia e nella diocesi. Per quelli che sono già in formazione, la comunità ecclesiale rimane sempre l’ambito educativo fondamentale, verso cui si sente gratitudine.

La vocazione è sostenuta dalla Chiesa. Dopo l’impegno definitivo, il cammino vocazionale nella Chiesa non finisce, ma continua nella disponibilità al servizio, nella perseveranza, nella formazione permanente. Chi ha consacrato la propria vita al Signore è disposto a servire la Chiesa dove essa ne abbia bisogno. La missione di Paolo e Barnaba è un esempio di questa disponibilità ecclesiale. Inviati in missione dallo Spirito Santo e dalla comunità di Antiochia (cfr At 13,1-4), ritornarono alla stessa comunità e raccontarono quello che il Signore aveva fatto per mezzo loro (cfr At 14,27). I missionari sono accompagnati e sostenuti dalla comunità cristiana, che rimane un riferimento vitale, come la patria visibile che offre sicurezza a quelli che compiono il pellegrinaggio verso la vita eterna.

Tra gli operatori pastorali rivestono una particolare importanza  i sacerdoti. Mediante il loro ministero si fa presente la parola di Gesù, che ha detto: «Io sono la porta delle pecore […] Io sono il buon pastore» (Gv 10,7.11). La cura pastorale delle vocazioni è una parte fondamentale del loro ministero pastorale. I sacerdoti accompagnano coloro che sono alla ricerca della propria vocazione, come pure quanti già hanno offerto la vita al servizio di Dio e della comunità.

Tutti i fedeli sono chiamati a rendersi consapevoli del dinamismo ecclesiale della vocazione, perché le comunità di fede possano diventare, sull’esempio della Vergine Maria, seno materno che accoglie il dono dello Spirito Santo (cfr Lc 1,35-38). La maternità della Chiesa si esprime mediante la preghiera perseverante per le vocazioni e con l’azione educativa e di accompagnamento per quanti percepiscono la chiamata di Dio. Lo fa anche mediante un’accurata selezione dei candidati al ministero ordinato e alla vita consacrata. Infine, è madre delle vocazioni nel continuo sostegno di coloro che hanno consacrato la vita al servizio degli altri.

Chiediamo al Signore di concedere a tutte le persone che stanno compiendo un cammino vocazionale una profonda adesione alla Chiesa; e che lo Spirito Santo rafforzi nei Pastori e in tutti i fedeli la comunione, il discernimento e la paternità e maternità spirituale.

Padre di misericordia, che hai donato il tuo Figlio per la nostra salvezza e sempre ci sostieni con i doni del tuo Spirito, concedici comunità cristiane vive, ferventi e gioiose, che siano fonti di vita fraterna e suscitino fra i giovani il desiderio di consacrarsi a Te e all’evangelizzazione. Sostienile nel loro impegno di proporre una adeguata catechesi vocazionale e cammini di speciale consacrazione. Dona sapienza per il necessario discernimento vocazionale, così che in tutto risplenda la grandezza del tuo amore misericordioso. Maria, Madre ed educatrice di Gesù, interceda per ogni comunità cristiana, affinché, resa feconda dallo Spirito Santo, sia fonte di genuine vocazioni al servizio del popolo santo di Dio.

QUARESIMA ANNO SANTO 2016 “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13)

Pope Francis receives ashes from Cardinal Tomko during Ash Wednesday Mass at Basilica of Santa Sabina in Rome

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA

NELL’ANNO GIUBILARE DELLA MISERICORDIA 2016

“Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9,13).

Le opere di misericordia nel cammino giubilare

1. MARIA, ICONA DI UNA CHIESA CHE EVANGELIZZA PERCHÉ EVANGELIZZATA

Nella Bolla d’indizione del Giubileo ho rivolto l’invito affinché «la Quaresima di quest’anno giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio» (Misericordiae Vultus, 17). Con il richiamo all’ascolto della Parola di Dio ed all’iniziativa «24 ore per il Signore» ho voluto sottolineare il primato dell’ascolto orante della Parola, in specie quella profetica. La misericordia di Dio è infatti un annuncio al mondo: ma di tale annuncio ogni cristiano è chiamato a fare esperienza in prima persona. E’ per questo che nel tempo della Quaresima invierò i Missionari della Misericordia perché siano per tutti un segno concreto della vicinanza e del perdono di Dio. Per aver accolto la Buona Notizia a lei rivolta dall’arcangelo Gabriele, Maria, nel Magnificat, canta profeticamente la misericordia con cui Dio l’ha prescelta. La Vergine di Nazaret, promessa sposa di Giuseppe, diventa così l’icona perfetta della Chiesa che evangelizza perché è stata ed è continuamente evangelizzata per opera dello Spirito Santo, che ha fecondato il suo grembo verginale. Nella tradizione profetica, la misericordia ha infatti strettamente a che fare, già a livello etimologico, proprio con le viscere materne (rahamim) e anche con una bontà generosa, fedele e compassionevole (hesed), che si esercita all’interno delle relazioni coniugali e parentali.

2. L’ALLEANZA DI DIO CON GLI UOMINI: UNA STORIA DI MISERICORDIA

Il mistero della misericordia divina si svela nel corso della storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo Israele. Dio, infatti, si mostra sempre ricco di misericordia, pronto in ogni circostanza a riversare sul suo popolo una tenerezza e una compassione viscerali, soprattutto nei momenti più drammatici quando l’infedeltà spezza il legame del Patto e l’alleanza richiede di essere ratificata in modo più stabile nella giustizia e nella verità. Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d’amore, nel quale Dio gioca il ruolo di padre e di marito tradito, mentre Israele gioca quello di figlio/figlia e di sposa infedeli. Sono proprio le immagini familiari – come nel caso di Osea (cfr Os 1-2) – ad esprimere fino a che punto Dio voglia legarsi al suo popolo. Questo dramma d’amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo. In Lui Dio riversa la sua misericordia senza limiti fino al punto da farne la «Misericordia incarnata» (Misericordiae Vultus, 8). In quanto uomo, Gesù di Nazaret è infatti figlio di Israele a tutti gli effetti. E lo è al punto da incarnare quel perfetto ascolto di Dio richiesto ad ogni ebreo dallo Shemà, ancora oggi cuore dell’alleanza di Dio con Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Il Figlio di Dio è lo Sposo che fa di tutto per guadagnare l’amore della sua Sposa, alla quale lo lega il suo amore incondizionato che diventa visibile nelle nozze eterne con lei. Questo è il cuore pulsante del kerygma apostolico, nel quale la misericordia divina ha un posto centrale e fondamentale. Esso è «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 36), quel primo annuncio che «si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi» (ibid., 164).

La Misericordia allora «esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere» (Misericordiae Vultus, 21), ristabilendo proprio così la relazione con Lui. E in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa.

3. LE OPERE DI MISERICORDIA

La misericordia di Dio trasforma il cuore dell’uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all’amore del prossimo e animando quelle che la tradizione della Chiesa chiama le opere di misericordia corporale e spirituale. Esse ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo. Perciò ho auspicato «che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina» (ibid., 15).

Nel povero, infatti, la carne di Cristo «diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura» (ibid.). Inaudito e scandaloso mistero del prolungarsi nella storia della sofferenza dell’Agnello Innocente, roveto ardente di amore gratuito davanti al quale ci si può come Mosè solo togliere i sandali (cfr Es 3,5); ancor più quando il povero è il fratello o la sorella in Cristo che soffrono a causa della loro fede. Davanti a questo amore forte come la morte (cfr Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch’egli null’altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest’accecamento menzognero.

Esso arriva al punto da neppure voler vedere il povero Lazzaro che mendica alla porta della sua casa (cfr Lc 16,20-21), il quale è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione. Lazzaro è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che forse non vediamo. E quest’accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l’uomo a massa da strumentalizzare. E possono attualmente mostrarlo anche le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull’idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli. Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all’ascolto della Parola e alle opere di misericordia. Se mediante quelle corporali tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli e sorelle bisognosi di essere nutriti, vestiti, alloggiati, visitati, quelle spirituali – consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare – toccano più direttamente il nostro essere peccatori. Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante.

Attraverso questa strada anche i “superbi”, i “potenti” e i “ricchi” di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c’è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l’uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell’eterno abisso di solitudine che è l’inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» (Lc 16,29). Quest’ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell’attesa della sua venuta. Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione! Lo chiediamo per l’intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza (cfr Lc 1,48), riconoscendosi come l’umile serva del Signore (cfr Lc 1,38).

Dal Vaticano, 4 ottobre 2015
Festa di San Francesco d’Assisi

Questo desiderio pastorale di papa Francesco, espresso già nella Lettera di indizione dell’Anno Santo, è un chiarissimo invito a pensare e a vivere la Quaresima con particolare intensità spirituale.

La Quaresima mi accompagna perché io possa cambiare stile e vivere quelle attenzioni che anche le opere di misericordia corporale e spirituale indicano, per poter rendere anche la nostra fede un po’ frizzante. Allora, non è ‘mi privo di qualcosa’, perché non avrebbe senso, ma ‘mi tolgo qualcosa’ per dare vita all’altro e per far mangiare l’altro, bere l’altro’…”.

AUGURI AL NEO VESCOVO DI CONVERSANO MONOPOLI

Mons. Favale Vescovo eletto

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Conversano-Monopoli,
è grande la gioia del mio cuore nel rivolgervi il mio primo saluto! Vengo tra voi mandato da Papa Francesco e, nella fede, nutro la certezza che è il Signore Gesù, il Buon Pastore, a chiamarmi a questo ministero, per essere tra voi segno della Sua tenerezza, custode della vostra comunione, animatore della vostra carità. Potete immaginare quel che ho vissuto nel momento in cui mi veniva comunicata la volontà del Santo Padre di inviarmi nella Chiesa di Conversano-Monopoli. Smarrimento e trepidazione hanno preso il sopravvento, di fronte ad un compito molto più grande delle mie forze. Al tempo stesso, però, la consapevolezza che Dio non abbandona coloro che confidano in Lui mi ha dato il coraggio per dire quel “sì” che unisce già da ora la mia vita alla vostra, nel tratto di strada che
percorreremo insieme, vescovo e popolo, per servire la causa del Vangelo.Tra non molto avremo modo di conoscerci personalmente, ma posso assicurarvi che, già da ora, nutro il desiderio di farmi vicino a ciascuno di voi, solidale con le vostre storie personali e di comunità. Al contempo, con le parole dell’apostolo Paolo, a voi chiedo: “Accoglietemi nei vostri cuori” (cf 2 Cor 7,2)! Vengo con il bastone del pellegrino per portarvi l’unica ricchezza che vale la pena possedere: Gesù Cristo. È Lui che mi manda a voi, perché voi appartenete a Lui. Siete la Sua sposa e io vengo come l’amico dello Sposo (cf Gv 3,29), per farvi crescere nella fedeltà verso di Lui, che da sempre vi ama. Vengo per dirvi in semplicità: “guardate a Lui e sarete illuminati”. Non mi stancherò di ripetervi in ogni occasione: “Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia” (dal Salmo 34). Vengo in una Chiesa che abita un territorio ricco di bellezze naturali e di storia, dove l’azione di Dio si è intrecciata con l’impegno operoso dell’uomo. Dalla costa adriatica alle colline della Murgia, quanti luoghi pieni di fascino che spingono l’animo ad elevarsi verso Dio! Quante opere frutto dell’intelligenza e della laboriosità delle passate generazioni e dei nostri contemporanei! Penso alle splendide Cattedrali e alle innumerevoli chiese che sono punto di riferimento per la fede del nostro popolo! Penso ai tanti luoghi dove si costruisce il futuro attraverso la fatica quotidiana, che aiuta a portare alle famiglie l’onesto sostentamento. Il Signore dia a tutti più coraggio e più forza per intraprendere strade nuove e così superare la difficile congiuntura che attraversa oggi il mondo del lavoro, anche nel nostro territorio. Il mio saluto raggiunge innanzitutto il carissimo Vescovo Domenico, che da pastore solerte e generoso ha guidato la Diocesi per 29 anni. Tutti voi serbate tanti grati ricordi del suo instancabile ministero: parole, gesti, attenzioni, che hanno fatto sperimentare la sua vicinanza in momenti lieti e tristi della vita di ciascuno. Grazie, Eccellenza, per la sua paternità. Continui a volerci bene e a
portarci nella sua preghiera. Nella persona del Vescovo voglio fare memoria di tutti i Pastori che lo hanno preceduto e che hanno tenuta accesa la fiamma della fede nelle passate generazioni. Consentitemi di ricordare tra tutti S. E. Mons. Antonio D’Erchia, anche lui originario della Diocesi di Castellaneta. A loro, che già vivono con il Pastore grande delle pecore (cf Eb 13,20), chiedo di accompagnarmi nel servizio che intraprendo con la preghiera di intercessione. Un pensiero colmo di gratitudine rivolgo a voi, carissimi confratelli Presbiteri e Diaconi, che siete preziosi ed insostituibili collaboratori del ministero episcopale. Vi guardo con ammirazione per la vostra vita spesa nell’ edificazione del Regno di Dio. So che siete generosi e che non vi risparmiate donando intelligenza, creatività e passione nel lavoro pastorale che esercitate nei diversi uffici che vi sono affidati. Grazie! Continuiamo a spenderci con gioia per il bene dei nostri fedeli. Mi troverete sempre al vostro fianco a sostenervi e a incoraggiarvi. Vorrò essere per ciascuno padre, fratello e amico. Lavoriamo insieme e questa sarà la nostra forza! Il presbiterio della Diocesi ha
generato una persona a me particolarmente cara, l’indimenticato Mons. Martino Scarafile, per tanti di voi rimasto semplicemente don Martino. Quanti ricordi mi legano a lui! Gli sono stato vicino nel servizio alla Diocesi di Castellaneta e la frequentazione quotidiana mi ha permesso di conoscerlo a fondo. Ho apprezzato e ammirato la sua fede schietta, la sua generosità, la sua bontà. La sua memoria resti in benedizione non solo nella Chiesa di Castellaneta ma anche nella nostra Diocesi. Ci sia sempre vicino e da Dio, dove lo pensiamo, ci accompagni con la sua preghiera. A voi, cari seminaristi del Seminario minore e del Seminario regionale, speranza della nostra Chiesa, il saluto paterno, che diventa ammirazione per la vostra esuberante giovinezza che si apre allo sguardo amorevole del Cristo. Fidatevi della Sua Parola e non abbiate paura di spendere la vita per Lui. Siatene certi, vi renderà felici! Insieme ai vostri educatori, vi sarò vicino nel discernimento e sosterrò il vostro cammino con la preghiera. Con sincera stima guardo a voi, cari membri degli Istituti di Vita consacrata presenti in diocesi. Siete una ricchezza per la nostra Chiesa diocesana, più che per le vostre opere, pur necessarie, in ragione della vostra stessa vita, tutta impregnata di eternità. Sarò contento di conoscervi e di valorizzare il vostro carisma. È motivo di orgoglio per la nostra Chiesa ospitare a Noci il Monastero Benedettino della Scala, oasi feconda di spiritualità per tanti che vanno alla ricerca del volto del Signore. Grazie, cari fratelli monaci, perché siete vicini ai nostri preti e ai nostri fedeli con l’accoglienza calorosa. La mia gratitudine voglio che si estenda anche al caro
Monastero delle Benedettine Celestine di Castellana Grotte. Giunga il mio saluto rispettoso e cordiale ai fratelli e alle sorelle delle diverse Chiese e comunità cristiane, con le quali condividiamo la stessa fede e lo stesso battesimo. Ci incontreremo e ci conosceremo e, soprattutto, ci lasceremo guidare dalla Parola della vita. Anche ai credenti delle altre Religioni rivolgo un pensiero beneaugurale, che diventa incoraggiamento a lavorare insieme facendo leva su ciò che ci unisce, più che su quanto divide. Con gli stessi sentimenti raggiungo coloro che si professano non credenti, desideroso di aprire un dialogo che, sono certo, aiuterà ognuno a comprendere meglio le ragioni dell’altro. Mi rivolgo ora alle distinte Autorità civili e militari presenti sul territorio, chiamate a custodire e promuovere il bene comune. Saluto tutti e ciascuno con deferenza, certo che sapremo
valorizzare ogni possibilità per operare costruttivamente, nel rispetto delle proprie competenze, a far fiorire sempre più l’umano autentico nelle nostre comunità.
Con un grande abbraccio stringo a me tutti voi, cari fratelli e sorelle laici, che la
Provvidenza affida alla mia paternità. Come vorrei che fossero aperte le porte del vostro cuore per accogliermi! Desidero portarvi una parola di speranza e di fiducia per farvi toccare con mano la misericordia del Signore, che in questo Anno giubilare rifluisce come un fiume in piena nella vita di tutti noi. Il mio saluto va alle famiglie, soprattutto quelle provate dalla sofferenza, ai piccoli, agli adolescenti, ai giovani – che sono il nostro futuro e meritano pertanto la giusta attenzione nel lavoro pastorale – agli anziani e agli ammalati. A chi vive esperienze di emarginazione e di solitudine – e fra questi ricordo anche i detenuti nel carcere di Turi – vorrei dire che il mio cuore palpita di affetto per loro e che ogni giorno saranno nella mia preghiera. Un ultimo pensiero lo rivolgo a coloro che lascio. Alla Chiesa di Castellaneta, che mi ha generato alla fede e al Sacerdozio, al Vescovo Claudio e ai Vescovi suoi predecessori, ai Confratelli preti e a tutti i fedeli, esprimo affetto riconoscente per quanto mi hanno testimoniato e trasmesso. All’amata comunità del Seminario Regionale di Molfetta e a coloro che, già immessi nel ministero, ho seguito in questi anni, dico la gioia per aver vissuto un tempo indimenticabile e fecondo della
mia vita sacerdotale. Rimarrete per sempre nel mio cuore! Affido me e voi alla intercessione della Madre di Dio, venerata con diversi titoli nelle nostre comunità, e dei Santi Patroni Flaviano e Francesco da Paola. Sentiamoci custoditi dal loro sguardo
amorevole e ciò darà coraggio alla nostra testimonianza evangelica nel mondo.
In comunione di preghiera, tutti vi benedico nel Signore.

Castellaneta, 5 febbraio 2016

don Giuseppe Favale

Vescovo eletto di Conversano-Monopoli

LA MISERICORDIA FA FIORIRE LA VITA

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Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente

per la 38a Giornata Nazionale per la vita

(7 febbraio 2016)

“Siamo noi il sogno di Dio che, da vero innamorato, vuole cambiare la nostra vita”[1]. Con queste parole Papa Francesco invitava a spalancare il cuore alla tenerezza del Padre, “che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati” (1Pt 1,3) e ha fatto fiorire la nostra vita.

 

La vita è cambiamento

L’Anno Santo della misericordia ci sollecita a un profondo cambiamento. Bisogna togliere “via il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Cor 5,7), bisogna abbandonare stili di vita sterili, come gli stili ingessati dei farisei. Di loro il Papa dice che “erano forti, ma al di fuori. Erano ingessati. Il cuore era molto debole, non sapevano in cosa credevano. E per questo la loro vita era – la parte di fuori – tutta regolata; ma il cuore andava da una parte all’altra: un cuore debole e una pelle ingessata, forte, dura”[2]. La misericordia, invero, cambia lo sguardo, allarga il cuore e trasforma la vita in dono: si realizza così il sogno di Dio.

 

La vita è crescita

Una vera crescita in umanità avviene innanzitutto grazie all’amore materno e paterno: “la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo”[3]. La famiglia, costituita da un uomo e una donna con un legame stabile, è vitale se continua a far nascere e a generare. Ogni figlio che viene al mondo è volto del “Signore amante della vita” (Sap 11,26), dono per i suoi genitori e per la società; ogni vita non accolta impoverisce il nostro tessuto sociale. Ce lo ricordava Papa Benedetto XVI: “Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani”[4]. Il nostro Paese, in particolare, continua a soffrire un preoccupante calo demografico, che in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari. Mentre si continuano a investire notevoli energie a favore di piccoli gruppi di persone, non sembra che ci sia lo stesso impegno per milioni di famiglie che, a volte sopravvivendo alla precarietà lavorativa, continuano ad offrire una straordinaria cura dei piccoli e degli anziani. “Una società cresce forte, cresce buona, cresce bella e cresce sana se si edifica sulla base della famiglia”[5]. È la cura dell’altro – nella famiglia come nella scuola – che offre un orizzonte di senso alla vita e fa crescere una società pienamente umana.

 

La vita è dialogo

I credenti in ogni luogo sono chiamati a farsi diffusori di vita “costruendo ponti”[6] di dialogo, capaci di trasmettere la potenza del Vangelo, guarire la paura di donarsi, generare la “cultura dell’incontro”[7]. Le nostre comunità parrocchiali e le nostre associazioni sanno bene che “la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere”[8]. Siamo chiamati ad assumere lo stile di Emmaus: è il vangelo della misericordia che ce lo chiede (cfr. Lc 24,13-35). Gesù si mette accanto, anche quando l’altro non lo riconosce o è convinto di avere già tutte le risposte. La sua presenza cambia lo sguardo ai due di Emmaus e fa fiorire la gioia: nei loro occhi si è accesa una luce. Di tale luce fanno esperienza gli sposi che, magari dopo una crisi o un tradimento, scoprono la forza del perdono e riprendono di nuovo ad amare. Ritrovano, così, il sapore pieno delle parole dette durante la celebrazione del matrimonio: “Padre, hai rivelato un amore sconosciuto ai nostri occhi, un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio”[9]. In questa gratuità del dono fiorisce lo spazio umano più fecondo per far crescere le giovani generazioni e per “introdurre – con la famiglia – la fraternità nel mondo”[10]. Il sogno di Dio – fare del mondo una famiglia – diventa metodo quando in essa si impara a custodire la vita dal concepimento al suo naturale termine e quando la fraternità si irradia dalla famiglia al condominio, ai luoghi di lavoro, alla scuola, agli ospedali, ai centri di accoglienza, alle istituzioni civili.

 

La vita è misericordia

Chiunque si pone al servizio della persona umana realizza il sogno di Dio. Contagiare di misericordia significa aiutare la nostra società a guarire da tutti gli attentati alla vita. L’elenco è impressionante: “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente”[11]. Contagiare di misericordia significa affermare – con papa Francesco – che è la misericordia il nuovo nome della pace. La misericordia farà fiorire la vita: quella dei migranti respinti sui barconi o ai confini dell’Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni senza scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere. Contagiare di misericordia significa osare un cambiamento interiore, che si manifesta contro corrente attraverso opere di misericordia. Opere di chi esce da se stesso, annuncia l’esistenza ricca in umanità, abita fiducioso i legami sociali, educa alla vita buona del Vangelo e trasfigura il mondo con il sogno di Dio.

Roma, 22 ottobre 2015

Memoria di San Giovanni Paolo II

 

                                                         Il Consiglio Permanente

                                                               della Conferenza Episcopale Italiana

[1] Francesco, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Come si cambia, 16 marzo 2015.
[2] Francesco, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Cuori di tenebra, 15 dicembre 2014.
[3] Francesco, Udienza Generale, 20 maggio 2015.
[4] Benedetto XVI, Messaggio per la XLII Giornata della pace, 1 gennaio 2009.
[5] Francesco, Discorso alla Veglia di preghiera con le famiglie, Philadelphia, 26 settembre 2015.
[6] Francesco, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Come si fa il dialogo, 24 gennaio 2014.
[7] Francesco, Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali. Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, 1 giugno 2014.
[8] Beato Paolo VI, Lettera enciclica Ecclesiam  Suam, 6 agosto 1964, 67.
[9] Rituale Romano, Rito del Matrimonio, IV formula di benedizione, Libreria Editrice Vaticana, Roma, 2004.
[10] Francesco, Udienza Generale, 18 febbraio 2015.
[11] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Scienza e Vita, 30 maggio 2015.

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI 18-25 gennaio 2016

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Preghiera

Signore Gesù, Tu ci hai sempre amato, fin dal principio, e hai mostrato la profondità del tuo amore morendo per noi sulla croce e condividendo, così, le nostre sofferenze e il nostro dolore. In questo istante noi deponiamo ai piedi della tua croce ogni ostacolo che ci separa dal tuo amore. Fai rotolare la pietra che ci tiene prigionieri. Risvegliaci all’alba di resurrezione, perché possiamo incontrare lì i fratelli e le sorelle da cui ci siamo separati. Amen.

Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2016

G2016

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2016

[17 gennaio 2016]

“Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”

 

Cari fratelli e sorelle!

Nella bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia ho ricordato che “ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre” (Misericordiae Vultus, 3). L’amore di Dio, infatti, intende raggiungere tutti e ciascuno, trasformando coloro che accolgono l’abbraccio del Padre in altrettante braccia che si aprono e si stringono perché chiunque sappia di essere amato come figlio e si senta “a casa” nell’unica famiglia umana. In tal modo, la premura paterna di Dio è sollecita verso tutti, come fa il pastore con il gregge, ma è particolarmente sensibile alle necessità della pecora ferita, stanca o malata. Gesù Cristo ci ha parlato così del Padre, per dire che Egli si china sull’uomo piagato dalla miseria fisica o morale e, quanto più si aggravano le sue condizioni, tanto più si rivela l’efficacia della divina misericordia.

Nella nostra epoca, i flussi migratori sono in continuo aumento in ogni area del pianeta: profughi e persone in fuga dalle loro patrie interpellano i singoli e le collettività, sfidando il tradizionale modo di vivere e, talvolta, sconvolgendo l’orizzonte culturale e sociale con cui vengono a confronto. Sempre più spesso le vittime della violenza e della povertà, abbandonando le loro terre d’origine, subiscono l’oltraggio dei trafficanti di persone umane nel viaggio verso il sogno di un futuro migliore. Se, poi, sopravvivono agli abusi e alle avversità, devono fare i conti con realtà dove si annidano sospetti e paure. Non di rado, infine, incontrano la carenza di normative chiare e praticabili, che regolino l’accoglienza e prevedano itinerari di integrazione a breve e a lungo termine, con attenzione ai diritti e ai doveri di tutti. Più che in tempi passati, oggi il Vangelo della misericordia scuote le coscienze, impedisce che ci si abitui alla sofferenza dell’altro e indica vie di risposta che si radicano nelle virtù teologali della fede, della speranza e della carità, declinandosi nelle opere di misericordia spirituale e corporale.

Sulla base di questa constatazione ho voluto che la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2016 fosse dedicata al tema: “Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”. I flussi migratori sono ormai una realtà strutturale e la prima questione che si impone riguarda il superamento della fase di emergenza per dare spazio a programmi che tengano conto delle cause delle migrazioni, dei cambiamenti che si producono e delle conseguenze che imprimono volti nuovi alle società e ai popoli. Ogni giorno, però, le storie drammatiche di milioni di uomini e donne interpellano la Comunità internazionale, di fronte all’insorgere di inaccettabili crisi umanitarie in molte zone del mondo. L’indifferenza e il silenzio aprono la strada alla complicità quando assistiamo come spettatori alle morti per soffocamento, stenti, violenze e naufragi. Di grandi o piccole dimensioni, sono sempre tragedie quando si perde anche una sola vita umana.

I migranti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, che equamente dovrebbero essere divise tra tutti. Non è forse desiderio di ciascuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ottenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?

In questo momento della storia dell’umanità, fortemente segnato dalle migrazioni, quella dell’identità non è una questione di secondaria importanza. Chi emigra, infatti, è costretto a modificare taluni aspetti che definiscono la propria persona e, anche se non lo vuole, forza al cambiamento anche chi lo accoglie. Come vivere queste mutazioni, affinché non diventino ostacolo all’autentico sviluppo, ma siano opportunità per un’autentica crescita umana, sociale e spirituale, rispettando e promuovendo quei valori che rendono l’uomo sempre più uomo nel giusto rapporto con Dio, con gli altri e con il creato?

Di fatto, la presenza dei migranti e dei rifugiati interpella seriamente le diverse società che li accolgono. Esse devono far fronte a fatti nuovi che possono rivelarsi improvvidi se non sono adeguatamente motivati, gestiti e regolati. Come fare in modo che l’integrazione diventi vicendevole arricchimento, apra positivi percorsi alle comunità e prevenga il rischio della discriminazione, del razzismo, del nazionalismo estremo o della xenofobia?

La rivelazione biblica incoraggia l’accoglienza dello straniero, motivandola con la certezza che così facendo si aprono le porte a Dio e nel volto dell’altro si manifestano i tratti di Gesù Cristo. Molte istituzioni, associazioni, movimenti, gruppi impegnati, organismi diocesani, nazionali e internazionali sperimentano lo stupore e la gioia della festa dell’incontro, dello scambio e della solidarietà. Essi hanno riconosciuto la voce di Gesù Cristo: «Ecco, sto alla porta e busso» (Ap 3,20). Eppure non cessano di moltiplicarsi anche i dibattiti sulle condizioni e sui limiti da porre all’accoglienza, non solo nelle politiche degli Stati, ma anche in alcune comunità parrocchiali che vedono minacciata la tranquillità tradizionale.

Di fronte a tali questioni, come può agire la Chiesa se non ispirandosi all’esempio e alle parole di Gesù Cristo? La risposta del Vangelo è la misericordia.

In primo luogo, essa è dono di Dio Padre rivelato nel Figlio: la misericordia ricevuta da Dio, infatti, suscita sentimenti di gioiosa gratitudine per la speranza che ci ha aperto il mistero della redenzione nel sangue di Cristo. Essa, poi, alimenta e irrobustisce la solidarietà verso il prossimo come esigenza di risposta all’amore gratuito di Dio, «che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5,5). Del resto, ognuno di noi è responsabile del suo vicino: siamo custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano. La cura di buoni contatti personali e la capacità di superare pregiudizi e paure sono ingredienti essenziali per coltivare la cultura dell’incontro, dove si è disposti non solo a dare, ma anche a ricevere dagli altri. L’ospitalità, infatti, vive del dare e del ricevere.

In questa prospettiva, è importante guardare ai migranti non soltanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al benessere e al progresso di tutti, in particolar modo quando assumono responsabilmente dei doveri nei confronti di chi li accoglie, rispettando con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del Paese che li ospita, obbedendo alle sue leggi e contribuendo ai suoi oneri. Comunque non si possono ridurre le migrazioni alla dimensione politica e normativa, ai risvolti economici e alla mera compresenza di culture differenti sul medesimo territorio. Questi aspetti sono complementari alla difesa e alla promozione della persona umana, alla cultura dell’incontro dei popoli e dell’unità, dove il Vangelo della misericordia ispira e incoraggia itinerari che rinnovano e trasformano l’intera umanità.

La Chiesa affianca tutti coloro che si sforzano per difendere il diritto di ciascuno a vivere con dignità, anzitutto esercitando il diritto a non emigrare per contribuire allo sviluppo del Paese d’origine. Questo processo dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi. Così si conferma che la solidarietà, la cooperazione, l’interdipendenza internazionale e l’equa distribuzione dei beni della terra sono elementi fondamentali per operare in profondità e con incisività soprattutto nelle aree di partenza dei flussi migratori, affinché cessino quegli scompensi che inducono le persone, in forma individuale o collettiva, ad abbandonare il proprio ambiente naturale e culturale. In ogni caso, è necessario scongiurare, possibilmente già sul nascere, le fughe dei profughi e gli esodi dettati dalla povertà, dalla violenza e dalle persecuzioni.

Su questo è indispensabile che l’opinione pubblica sia informata in modo corretto, anche per prevenire ingiustificate paure e speculazioni sulla pelle dei migranti.

Nessuno può fingere di non sentirsi interpellato dalle nuove forme di schiavitù gestite da organizzazioni criminali che vendono e comprano uomini, donne e bambini come lavoratori forzati nell’edilizia, nell’agricoltura, nella pesca o in altri ambiti di mercato. Quanti minori sono tutt’oggi costretti ad arruolarsi nelle milizie che li trasformano in bambini soldato! Quante persone sono vittime del traffico d’organi, della mendicità forzata e dello sfruttamento sessuale! Da questi aberranti crimini fuggono i profughi del nostro tempo, che interpellano la Chiesa e la comunità umana affinché anch’essi, nella mano tesa di chi li accoglie, possano vedere il volto del Signore «Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3).

Cari fratelli e sorelle migranti e rifugiati! Alla radice del Vangelo della misericordia l’incontro e l’accoglienza dell’altro si intrecciano con l’incontro e l’accoglienza di Dio: accogliere l’altro è accogliere Dio in persona! Non lasciatevi rubare la speranza e la gioia di vivere che scaturiscono dall’esperienza della misericordia di Dio, che si manifesta nelle persone che incontrate lungo i vostri sentieri! Vi affido alla Vergine Maria, Madre dei migranti e dei rifugiati, e a san Giuseppe, che hanno vissuto l’amarezza dell’emigrazione in Egitto. Alla loro intercessione affido anche coloro che dedicano energie, tempo e risorse alla cura, sia pastorale che sociale, delle migrazioni. Su tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 12 settembre 2015

Memoria del Santissimo Nome di Maria

FRANCESCO

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