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SANTA MADRE DI DIO e MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA CELEBRAZIONE DELLA 50^ GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2017

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Madre di Dio (in greco Θεοτόκος; in latino Deipara o Dei genetrix) è un titolo  che è stato dato a Maria nel 431 dal Concilio di Efeso attraverso la proclamazione di un dogma ed è una conseguenza della dottrina cristologica affermata dal concilio. Secondo il concilio Gesù Cristo, pur essendo sia Dio che uomo – come già diceva in precedenza il concilio di Nicea (325) -, è un’unica persona. Le due nature, divina e umana, sono inseparabili e perciò Maria può essere legittimamente chiamata Madre di Dio. La solennità di Maria S.ma Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale.

Il Beato Paolo VI, volle, a partire dal 1967, che il 1° gennaio diventasse anche la Giornata Mondiale della Pace ; in questa occasione il Sommo Pontefice invia ai Capi delle Nazioni un messaggio che invita alla riflessione sul tema della Pace.

 

 

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La nonviolenza: stile di una politica per la pace

1. All’inizio di questo nuovo anno porgo i miei sinceri auguri di pace ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile. Auguro pace ad ogni uomo, donna, bambino e bambina e prego affinché l’immagine e la somiglianza di Dio in ogni persona ci consentano di riconoscerci a vicenda come doni sacri dotati di una dignità immensa. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, rispettiamo questa «dignità più profonda»[1] e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile di vita.

Questo è il Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale della Pace. Nel primo, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». Metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Al contrario, citando la Pacem in terris del suo predecessore san Giovanni XXIII, esaltava «il senso e l’amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull’amore».[2] Colpisce l’attualità di queste parole, che oggi non sono meno importanti e pressanti di cinquant’anni fa.

In questa occasione desidero soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e chiedo a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.

Un mondo frantumato

2. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa.

In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”?

La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti.

La Buona Notizia

3. Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). Ma il messaggio di Cristo, di fronte a questa realtà, offre la risposta radicalmente positiva: Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Quando impedì a coloro che accusavano l’adultera di lapidarla (cfr Gv 8,1-11) e quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione, secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori».[3]

Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa – come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI – «è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio».[4] Ed egli aggiungeva con grande forza: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”».[5] Giustamente il vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene considerato «la magna charta della nonviolenza cristiana»: esso non consiste «nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».[6]

Più potente della violenza

4. La nonviolenza è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così. Quando Madre Teresa ricevette il premio Nobel per la Pace nel 1979, dichiarò chiaramente il suo messaggio di nonviolenza attiva: «Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri […] E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo».[7] Perché la forza delle armi è ingannevole. «Mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita»; per questi operatori di pace, Madre Teresa è «un simbolo, un’icona dei nostri tempi».[8] Nello scorso mese di settembre ho avuto la grande gioia di proclamarla Santa. Ho elogiato la sua disponibilità verso tutti attraverso «l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. […] Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi».[9] In risposta, la sua missione – e in questo rappresenta migliaia, anzi milioni di persone – è andare incontro alle vittime con generosità e dedizione, toccando e fasciando ogni corpo ferito, guarendo ogni vita spezzata.

La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come, ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia.

Né possiamo dimenticare il decennio epocale conclusosi con la caduta dei regimi comunisti in Europa. Le comunità cristiane hanno dato il loro contributo con la preghiera insistente e l’azione coraggiosa. Speciale influenza hanno esercitato il ministero e il magistero di san Giovanni Paolo II. Riflettendo sugli avvenimenti del 1989 nell’Enciclica Centesimus annus (1991), il mio predecessore evidenziava che un cambiamento epocale nella vita dei popoli, delle nazioni e degli Stati si realizza «mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia».[10] Questo percorso di transizione politica verso la pace è stato reso possibile in parte «dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità». E concludeva: «Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne ed alla guerra in quelle internazionali».[11]

La Chiesa si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura.

Questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali «la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita».[12] Lo ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista».[13] La violenza è una profanazione del nome di Dio.[14] Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».[15]

La radice domestica di una politica nonviolenta

5. Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia. È una componente di quella gioia dell’amore che ho presentato nello scorso marzo nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, a conclusione di due anni di riflessione da parte della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono.[16] Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società.[17] D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero. In questo senso, rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica.[18] Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini.

Il Giubileo della Misericordia, conclusosi nel novembre scorso, è stato un invito a guardare nelle profondità del nostro cuore e a lasciarvi entrare la misericordia di Dio. L’anno giubilare ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vittime di ingiustizia e subiscono violenza. Essi fanno parte della nostra “famiglia”, sono nostri fratelli e sorelle. Per questo le politiche di nonviolenza devono cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera famiglia umana. «L’esempio di santa Teresa di Gesù Bambino ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Una ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo».[19]

Il mio invito

6. La costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali, mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali e grazie al contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione della legislazione a tutti i livelli. Gesù stesso ci offre un “manuale” di questa strategia di costruzione della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo».[20] Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo è intimamente connesso.[21] Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che «le tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».[22]

Assicuro che la Chiesa Cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa. Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace «i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato» e della sollecitudine verso i migranti, «i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura».[23] Ogni azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace.

In conclusione

7. Come da tradizione, firmo questo Messaggio l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Maria è la Regina della Pace. Alla nascita di suo Figlio, gli angeli glorificavano Dio e auguravano pace in terra agli uomini e donne di buona volontà (cfr Lc 2,14). Chiediamo alla Vergine di farci da guida.

«Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla».[24] Nel 2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune. «Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace».[25]

Dal Vaticano, 8 dicembre 2016

Francesco

[1] Esort. ap. Evangelii gaudium, 228.

[2] Messaggio per la celebrazione della 1a Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1968.

[3] «Leggenda dei tre compagni»: Fonti Francescane, n. 1469.

[4] Angelus, 18 febbraio 2007.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Madre Teresa, Discorso per il Premio Nobel, 11 dicembre 1979.

[8] Meditazione “La strada della pace”, Cappella della Domus Sanctae Marthae, 19 novembre 2015.

[9] Omelia per la canonizzazione della Beata Madre Teresa di Calcutta, 4 settembre 2016.

[10] N. 23.

[11] Ibid.

[12] Discorso nell’Udienza interreligiosa, 3 novembre 2016.

[13] Discorso al 3° Incontro mondiale dei movimenti popolari, 5 novembre 2016.

[14] Cfr Discorso nell’Incontro con lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso e con Rappresentanti delle altre Comunità religiose, Baku, 2 ottobre 2016.

[15] Discorso, Assisi, 20 settembre 2016.

[16] Cfr Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 90-130.

[17] Cfr ibid., 133.194.234.

[18] Cfr Messaggio in occasione della Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, 7 dicembre 2014.

[19] Enc. Laudato si’, 230.

[20] Esort. ap. Evangelii gaudium, 227.

[21] Cfr Enc. Laudato si‘, 16.117.138.

[22] Esort. ap. Evangelii gaudium, 228.

[23] Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” con la quale si istituisce il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, 17 agosto 2016.

[24] Regina Caeli, Betlemme, 25 maggio 2014.

[25] Appello, Assisi, 20 settembre 2016.

AVVENTO 2016

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«”Sì, vengo presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20). L’annuncio e la fiduciosa supplica per affrettare il ritorno del Risorto formano il nucleo essenziale del Tempo d’Avvento. Solo in apparenza il “tempo liturgico” si presenta come tempo ciclico, come una tradizione che si ripete. Ogni anno che lo celebriamo constatiamo che il Regno di Dio avanza nella storia: storia del mondo, storia della salvezza.
I segnali che provengono dal mondo potrebbero scoraggiare: che cosa è la celebrazione liturgica – proposta debole e fragile, affidata alla recezione e alla buona volontà degli uomini – in confronto ai conflitti, alle tensioni, alle guerre che serpeggiano e sembrano sul punto di esplodere? In realtà non si tratta di un tempo debole, anche se viene espresso con sobrietà particolare dalla liturgia. E’ un tempo forte di preparazione e di avvio, che invita a iniziare un nuovo percorso, settimana per settimana, verso il compimento di quella era nuova della storia umana cominciata con il Natale del Signore, che celebreremo nella festa e nella gioia.
«Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4). Un annuncio inaudito apre la Liturgia della Parola della prima domenica di Avvento. Una profezia che scuote le coscienze, che ha il coraggio di vedere la luce dove altri identificano solo tenebra e non senso. Questo annuncio non rimane un fatto isolato: tutti i testi delle liturgie d’Avvento (letture bibliche e testi patristici, salmi, orazioni e prefazi, antifone e canti) sono disposti in modo da richiamarci e accompagnarci a una fedele vigilanza nel cammino. Lo spirito dell’Avvento non può lasciarci indifferenti.
Se noi andiamo verso il Signore, in realtà è il suo venire che ci smuove dall’immobilismo e rimette in moto energie sopite, ci libera da stanchezze e pigrizie. Un rinnovato incontro con lui può dar vita a un nuovo segmento del nostro vivere, che dia uno spazio più generoso a Colui che viene. Così possiamo dare senso pieno alla parola Avvento, che vogliamo onorare e rendere concreta. E prende profondità anche la nostra supplica: «Vieni, Signore Gesù, spezza le nostre spade, smussa le punte delle nostre lance, cancella i desideri di guerra, le chiusure, i muri: riconosciamo la tua chiamata e il bisogno di aprirci a te, senza timore».
Partendo dall’esperienza dell’Anno della Misericordia, il “Sussidio” – predisposto da alcuni uffici della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana – intende accompagnare le comunità della Chiesa che è in Italia a vivere la trasformazione della Storia che il Risorto opera incessantemente; il Signore che viene è infatti il Risorto: tutta la realtà, umana e cosmica, è in lui trasfigurata, è la nuova e definitiva creazione. Le nostre fragili realtà possono aprirsi a una nuova esistenza. Come ricorda Papa Francesco:

Cristo ha unificato tutto in Sé: cielo e terra, Dio e uomo, tempo ed eternità, carne e spirito, persona e società. Il segno distintivo di questa unità e riconciliazione di tutto in Sé è la pace. Cristo « è la nostra pace» (Ef 2,14). L’annuncio evangelico inizia sempre con il saluto di pace, e la pace corona e cementa in ogni momento le relazioni tra i discepoli. La pace è possibile perché il Signore ha vinto il mondo e la sua permanente conflittualità avendolo «pacificato con il sangue della sua croce» (Col 1,20). Ma se andiamo a fondo in questi testi biblici, scopriremo che il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare questa pacificazione nelle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica. Con cuori spezzati in mille frammenti sarà difficile costruire un’autentica pace sociale. (EG 229)

Le ferite aperte e più dolorose, oggi, sono visibili nell’assenza di pace e nella presenza crudele della guerra. Puntare su una riduzione dei conflitti e una più attiva fiducia nel dialogo, vuol dire oggi riattivare le energie che aiutino a portare il peso del confronto non cruento, pagandone pure il prezzo ma in un orizzonte tinto di speranza. Il Signore che viene è «la nostra pace» (Ef 2,14). Riconciliare, pacificare, costruire, e ricostruire, la storia continuamente lacerata. Dare credito agli altri, preparando il meglio possibile il campo della “pluriforme unità”. Anche in questo nostro Avvento-Natale: «Vieni, Signore Gesù».
Sul piano personale, si tratterà di accogliere più a fondo l’appello che viene dallo Spirito di Pace; lasciando correggere, in particolare, il nostro modo di guardare gli “altri”: Dio ci fa intuire che nell’altro, o meglio, nei fratelli, è presente una possibile trasfigurazione, che è per tutti urgente, ma che troppo spesso è velata dietro il vivere di chi è povero, scartato, oggetto di violenza, privato di avvenire.
Sul piano comunitario, andranno continuamente rigenerate le speranze, per non appiattirsi nello statu quo, e rilanciare invece – non le utopie – ma il disegno di un mondo più abitabile, e di una vita ultima in Dio, da annunciare senza stancarsi.
E’ la strada maestra di un Avvento autentico, che ci conduce a celebrare “in spirito e verità” il Natale del Signore, come trasfigurazione dell’umano che «nella pienezza del tempo» (Gal 4,4) si fa annuncio e profezia del Regno di Dio, che è in mezzo a noi.
L’auspicio è che il “Sussidio”, in continuità dinamica con il Convegno ecclesiale di Firenze, in piena sintonia con il Magistero di Papa Francesco – fatto di gesti e parole assai eloquenti che ci interpellano – possa favorire nelle comunità cristiane una fruttuosa accoglienza dell’unico Dono, capace di trasfigurare la nostra umanità e di liberare un’esistenza troppo angustiata dalle nostre preoccupazioni, per entrare in un tempo nuovo, gioioso nel ringraziamento e lieto nella comunione.
  + Nunzio Galantino

Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana
MESSAGGIO VESCOVO GIUSEPPE per l’AVVENTO 2016

                                                                                              Conversano, 27.11.2016

Carissimi,

dopo aver vissuto l’Anno Santo della Misericordia con grande coinvolgimento interiore, iniziamo oggi un nuovo Anno liturgico mettendoci alla sequela di Cristo, Signore del tempo e della storia, che è presente in mezzo a noi e viene ad offrirci la sua pace e la sua gioia. Come vi dicevo nella celebrazione conclusiva del Giubileo, l’Anno della Misericordia non può essere semplicemente archiviato nei nostri ricordi. Il Santo Padre, nella Lettera Apostolica Misericordia et misera, donataci a conclusione dell’anno giubilare, ci ricorda che siamo chiamati a celebrare la misericordia attraverso l’incontro vivo con Cristo che si realizza nell’ascolto della sua Parola e nei Sacramenti (cf n. 5). Abbiamo la possibilità di accogliere il tempo forte dell’Avvento come un tempo favorevole per metterci in ascolto della Parola, soprattutto mediante la pratica della Lectio divina, e per celebrare la presenza del Signore in mezzo a noi nell’Eucarestia e nel perdono, offerto a noi nel Sacramento della Riconciliazione. Sperimenteremo così la gioia del suo amore misericordioso, il suo farsi umile e piccolo per venire incontro alla nostra umanità.

Con un’ulteriore provocazione Papa Francesco, nella stessa Lettera, chiede a tutti noi di “dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere di misericordia” (n. 18) e a “far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri” (n. 20). Queste parole ci sollecitano a vivere la carità in maniera vivace e creativa, non come un semplice esercizio di opere buone, ma come prolungamento di quella misericordia ricevuta da Dio, che diventa visibile nell’ attenzione solidale ai fratelli. Il nostro cammino verso il Natale perciò deve essere arricchito da scelte di gesti di carità che esprimano l’amore soprannaturale verso il prossimo, nel quale si scorge il volto di Gesù Cristo, Dio fatto uomo.

In questa luce vorrei che si inserisse la proposta dell’Avvento di fraternità, che in questo anno avrà come obiettivo sostenere la nuova Casa della Carità a Monopoli. Essa vuole essere non soltanto segno del cammino giubilare appena concluso, ma ancor più stimolo per avviare nuovi progetti di misericordia, che si potranno in seguito realizzare in altre Città della Diocesi. Ciò che vi domando, perciò, non è una semplice raccolta di fondi, quanto piuttosto favorire la riscoperta di quella verità che il Concilio Vaticano II ha così sintetizzato nella Gaudium et spes: “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (n. 22). Non dimentichiamo mai che la carne del Salvatore, assunta dal Verbo eterno attraverso Maria di Nazaret, continua ad essere viva nella carne di ogni uomo che si affaccia nella storia, specie nella carne di chi soffre.

Accogliamo allora come dono prezioso l’Avvento e rendiamolo tempo propizio per ritemprare le nostre forze attingendo alla sorgente perenne dell’amore di Dio. Impariamo dal Signore a farci buoni samaritani di tutti coloro che sono feriti dalla vita e che attendono, lungo le strade della storia, chi possa fermarsi a versare sulle ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza.

Affido a Maria, Madre Immacolata del Redentore, il nostro cammino d’Avvento. Sia Lei a ispirarci i gesti della carità e ci aiuti ad accogliere nel cuore la Parola di vita perché diventi nostra carne.

Tutti vi benedico di cuore.

CINEFORUM “IL PRANZO DI BABETTE”

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Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore. […] La gioia di tale amore contemplativo va coltivata. Dal momento che siamo fatti per amare, sappiamo che non esiste gioia maggiore che nel condividere un bene: «Regala e accetta regali, e divertiti» (Sir 14,16). Le gioie più intense della vita nascono quando si può procurare la felicità degli altri, in un anticipo del Cielo. Va ricordata la felice scena del film Il pranzo di Babette, dove la generosa cuoca riceve un abbraccio riconoscente e un elogio: «Come delizierai gli angeli!». È dolce e consolante la gioia che deriva dal procurare diletto agli altri, di vederli godere. Tale gioia, effetto dell’amore fraterno, non è quella della vanità di chi guarda sé stesso, ma quella di chi ama e si compiace del bene dell’amato, che si riversa nell’altro e diventa fecondo in lui.” (n° 129)

Quanto amore, quanta ricerca della felicità altrui ci può essere nella bellezza della tavola, nella cura dell’apparecchiatura e nel cucinare manicaretti per i nostri cari! E’ una manifestazione d’amore, che contribuisce alla costruzione della famiglia.

LA LETTERA DI BARI. PER UNA EDUCAZIONE DIGITALE DELLA FAMIGLIA

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Abbiamo dato vita al Forum “Bambini e mass media”, perché abbiamo un

sogno da condividere con chi vuole che i mezzi della comunicazione sociale

preferiscano sempre la realtà al racconto irreale, che rischia di imporre

l’omologazione di una logica mercantile al senso dell’umano.

Abbiamo il sogno di una comunicazione che abbia coscienza di informare le

persone prima che conquistare i consumatori.

Abbiamo il sogno di una informazione che sappia dialogare invece che ammaliare e convincere.

Abbiamo il sogno di una comunicazione che usi la manipolazione solo come

forma di un contenuto autentico e libero.

Abbiamo il sogno di una comunicazione che illumini il mondo con la bellezza

delle parole, consapevole di formare menti e coscienze.

Abbiamo il sogno di una comunicazione che si preoccupi della buona educazione sempre.

Abbiamo il sogno di una comunicazione sociale fondata sul rispetto, che sappia

rivolgersi a chi ascolta, legge, osserva con l’attenzione che si deve ad ogni

persona, e che si ricordi sempre che parlare alla massa significa parlare in

realtà ad uno ad uno.

Abbiamo il sogno di una comunicazione sociale che sappia fondarsi sulla

fiducia tra le persone e rivolgersi alla intelligenza di ognuno contemporaneamente ai sensi e all’emotività. Una comunicazione che sia

immagine e parola di verità e, quindi, riflessione critica e considerazione.

Abbiamo il sogno di una comunicazione sociale che non urli, che ci alieni dalla

fretta e dalla improvvisazione, che sappia cercare e trovare le parole giuste per

raccontare anche l’orrendo e l’irraccontabile.

Abbiamo il sogno che di questi temi si parli più spesso non solo tra gli addetti

ai lavori, né tantomeno per dettare regole, il più delle volte disattese.

Abbiamo bisogno che nel tam tam mediatico e crossmediale i bambini e gli

adolescenti siano la stella polare del linguaggio che si usa, perché sono

fruitori-protagonisti come gli altri (se non più degli altri) e hanno diritto a

conoscere, capire, interpretare, essere educati e formati ad essere cittadini del

mondo, giusti e veri.

Bari, 24 marzo 2014

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