Author Archives: administrator

XXIII Giornata Mondiale del Malato

Sapientia cordis. «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29,15) giornata del malato

Cari fratelli e sorelle, in occasione della XXIII Giornata Mondiale del Malato, istituita da san Giovanni Paolo II, mi rivolgo a tutti voi che portate il peso della malattia e siete in diversi modi uniti alla carne di Cristo sofferente; come pure a voi, professionisti e volontari nell’ambito sanitario. Il tema di quest’anno ci invita a meditare un’espressione del Libro di Giobbe: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (29,15). Vorrei farlo nella prospettiva della “sapientia cordis”, la sapienza del cuore. 1. Questa sapienza non è una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti. Essa piuttosto, come la descrive san Giacomo nella sua Lettera, è «pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (3,17). È dunque un atteggiamento infuso dallo Spirito Santo nella mente e nel cuore di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in essi l’immagine di Dio. Facciamo nostra, pertanto, l’invocazione del Salmo: «Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (Sal 90,12). In questa sapientia cordis, che è dono di Dio, possiamo riassumere i frutti della Giornata Mondiale del Malato. 2. Sapienza del cuore è servire il fratello. Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova (vv.12-13). Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere “occhi per il cieco” e”piedi per lo zoppo”! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa. 3. Sapienza del cuore è stare con il fratello. Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Gesù stesso ha detto: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Chiediamo con viva fede allo Spirito Santo che ci doni la grazia di comprendere il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla “qualità della vita”, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!
4. Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello. Il nostro mondo dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo, dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40). Per questo, vorrei ricordare ancora una volta «l’assoluta priorità dell’”uscita da sé verso il fratello” come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179). Dalla stessa natura missionaria della Chiesa sgorgano «la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove» (ibid.). 5. Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo. La carità ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare accanto a loro come fecero gli amici di Giobbe: «Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,13). Ma gli amici di Giobbe nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto. L’esperienza di Giobbe trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014). Anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis. Si comprende perciò come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5). Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo. 6. Affido questa Giornata Mondiale del Malato alla protezione materna di Maria, che ha accolto nel grembo e generato la Sapienza incarnata, Gesù Cristo, nostro Signore. O Maria, Sede della Sapienza, intercedi quale nostra Madre per tutti i malati e per coloro che se ne prendono cura. Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore. Accompagno questa supplica per tutti voi con la mia Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 3 dicembre 2014, Memoria di San Francesco Saverio FRANCISCUS

GIORNATA DEL SEMINARIO

LA PROPOSTA FORMATIVA DEL SEMINARIO MINORE

Il Seminario minore prima ancora di essere un luogo è anzitutto una «proposta di vita al seguito di Gesù, in un contesto comunitario, tenuto conto delle esigenze proprie dell’età dei ragazzi» (CEI, La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana, Orientamenti e norme per i seminari, n. 35).

Una proposta che mira a investire la vita dei nostri giovani e ad incidere su di essa in tutte le sue dimensioni.

Una proposta centrata su Cristo, che è la misura alta della nostra umanità. «Chi segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anche egli più uomo» (GS 41). E trova risposta anche alla propria vocazione. Cristo, infatti, non è solo «la chiave di accesso per intuire la rilevanza di Dio nell’esistenza quotidiana, ma anche il segreto per spenderla nella carità fraterna in scelte definitive» (Discorso del Santo Padre alla 68° Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana del 27 maggio 2010).

Una proposta che si fa itinerario educativo. Perché la risposta al dono della vita si attua solo nel corso dell’esistenza. Educare, del resto, significa incontrare la vita con le sue attese, i suoi sogni, i suoi dubbi, i suoi limiti, le sue potenzialità, le sue risorse, incontrare questa vita reale, dialogare con essa e adoperarsi giorno dopo giorno per plasmarla, per trasformarla: darle cioè una forma.

Il seminario minore mira a dare alla vita dei nostri ragazzi la forma di Cristo, «maestro perfetto ma anche modello pieno e affascinante cui guardare per educare ed educarci» (Lettera sull’educazione del card. Bagnasco). La chiave del cuore dei nostri ragazzi è, infatti, nelle sue mani, come ci insegna san Giovanni Bosco; per questo non dobbiamo stancarci di imparare da Lui l’arte di educare e di sollecitare risposte generose alla chiamata di Dio.

L’équipe educativa del Seminario è solo l’espressione visibile della sollecitudine di tutta la Chiesa diocesana per le vocazioni. Raccogliamo pertanto l’appello che il Santo Padre ha inteso lanciare nel suo Messaggio per XLVIII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2011: «ogni comunità cristiana, ogni fedele, dovrebbe assumere con consapevolezza l’impegno di promuovere le vocazioni. È importante incoraggiare e sostenere coloro che mostrano chiari segni della chiamata … perché sentano il calore dell’intera comunità nel dire il loro sì a Dio e alla Chiesa».

Accompagnamo la Comunità del Seminario Minore con la nostra Preghiera.seminario

SOLENNI QUARANTORE – “E’ Bello con Te”

Cari fratelli e sorelle
Oggi vi parlerò dell’Eucaristia. L’Eucaristia si colloca nel cuore dell’«iniziazione cristiana», insieme al Battesimo e alla Confermazione, e costituisce la sorgente della vita stessa della Chiesa. Da questo Sacramento dell’amore, infatti, scaturisce ogni autentico cammino di fede, di comunione e di testimonianza. Quello che vediamo quando ci raduniamo per celebrare l’Eucaristia, la Messa, ci fa già intuire che cosa stiamo per vivere. Al centro dello spazio destinato alla celebrazione si trova l’altare, che è una mensa, ricoperta da una tovaglia, e questo ci fa pensare ad un banchetto. Sulla mensa c’è una croce, ad indicare che su quell’altare si offre il sacrificio di Cristo: è Lui il cibo spirituale che lì si riceve, sotto i segni del pane e del vino. Accanto alla mensa c’è l’ambone, cioè il luogo da cui si proclama la Parola di Dio: e questo indica che lì ci si raduna per ascoltare il Signore che parla mediante le Sacre Scritture, e dunque il cibo che si riceve è anche la sua Parola.
Parola e Pane nella Messa diventano un tutt’uno, come nell’Ultima Cena, quando tutte le parole di Gesù, tutti i segni che aveva fatto, si condensarono nel gesto di spezzare il pane e di offrire il calice, anticipo del sacrificio della croce, e in quelle parole: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo … Prendete, bevete, questo è il mio sangue”.
Il gesto di Gesù compiuto nell’Ultima Cena è l’estremo ringraziamento al Padre per il suo amore, per la sua misericordia. “Ringraziamento” in greco si dice “eucaristia”. E per questo il Sacramento si chiama Eucaristia: è il supremo ringraziamento al Padre, che ci ha amato tanto da darci il suo Figlio per amore. Ecco perché il termine Eucaristia riassume tutto quel gesto, che è gesto di Dio e dell’uomo insieme, gesto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Dunque la celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza. «Memoriale» non significa solo un ricordo, un semplice ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo Sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. L’Eucaristia costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con Lui e con i fratelli. È per questo che comunemente, quando ci si accosta a questo Sacramento, si dice di «ricevere la Comunione», di «fare la Comunione»: questo significa che nella potenza dello Spirito Santo, la partecipazione alla mensa eucaristica ci conforma in modo unico e profondo a Cristo, facendoci pregustare già ora la piena comunione col Padre che caratterizzerà il banchetto celeste, dove con tutti i Santi avremo la gioia di contemplare Dio faccia a faccia.
Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci ha fatto con l’Eucaristia! E’ un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a Messa la domenica. Andare a Messa non solo per pregare, ma per ricevere la Comunione, questo pane che è il corpo di Gesù Cristo che ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre. E’ bello fare questo! E tutte le domeniche andiamo a Messa, perché è il giorno proprio della risurrezione del Signore. Per questo la domenica è tanto importante per noi. E con l’Eucaristia sentiamo questa appartenenza proprio alla Chiesa, al Popolo di Dio, al Corpo di Dio, a Gesù Cristo. Non finiremo mai di coglierne tutto il valore e la ricchezza. Chiediamogli allora che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il cuore del Padre. E questo si fa durante tutta la vita, ma si comincia a farlo il giorno della prima Comunione. E’ importante che i bambini si preparino bene alla prima Comunione e che ogni bambino la faccia, perché è il primo passo di questa appartenenza forte a Gesù Cristo, dopo il Battesimo e la Cresima.
_______________________________________
Signore Gesù Cristo,
pastore Buono delle nostre anime,
Tu che conosci le Tue pecore
e sai come raggiungere il cuore dell’ uomo,
apri la mente ed il cuore di quei giovani che cercano
e attendono una Parola di verità per la loro vita;
fa loro sentire che solo nel mistero della Tua incarnazione
oggi trovano piena luce;
risveglia il coraggio di coloro che sanno dove cercare verità,
ma temono che la Tua richiesta sia troppo esigente;
scuoti l’ animo di quei giovani che vorrebbero seguirti,
ma non sanno vincere l’ incertezza e le paure,
e finiscono per seguire altre voci
ed altri sentieri senza sbocco.
Tu che sei la Parola del Padre,
Parola che crea e che salva,
Parola che illumina e sostiene i cuori,
vinci con il Tuo Spirito le resistenze
e gli indugi degli animi indecisi;
suscita in coloro che tu chiami
il coraggio della risposta d’ amore:
Eccomi, Manda me.
Vergine Maria, giovane figlia di Israele
sorreggi con il Tuo materno amore quei giovani,
ai quali il Padre fa sentire la sua Parola;
e sostieni coloro che sono già consacrati.
Ripetano a Te il sì di una donazione gioiosa e irrevocabile.

Amen.

GIOVEDI’ 5 FEBBRAIO

ORE 20,00 ADORZIONE EUCARISTICA COMUNITARIA

Sono Caldamente Invitati gli Operatori Pastorali, I Giovani e Giovanissimi, le Famiglie della nostra Comunità cropped-IMG-20150204-WA00042.jpg

GIORNATA PER LA VITA CONSACRATA

Portare l’abbraccio di Dio. La Vita Consacrata nella compagnia degli uomini

logo anno vita consacrata

L’Anno della Vita Consacrata, mette in evidenza che le persone consacrate sono un dono dello Spirito alla Chiesa intera e, pertanto, ad ogni Chiesa particolare.
Ogni forma di vita consacrata, guardando al passato con gratitudine, vivendo il presente con passione e abbracciando il futuro con speranza, porta l’abbraccio di Dio e fa compagnia all’umanità, pone in sinergia la tenerezza avvolgente di Dio e la capacità umana di affondare le radici nella terra fertile della storia del proprio popolo, come se fossero due braccia.
L’orizzonte sacramentale, il corpo che sviluppa questo abbraccio è e resta la Chiesa, di cui le consacrate e i consacrati sono parte, perché presi dal popolo ed inviati in mezzo al popolo, mentre il luogo dove questo abbraccio incontra preferenzialmente l’uomo è nella vita e nelle “periferie della storia”. E’ qui che l’uomo fa esperienza del “padre misericordioso” (Lc 15, 11-32) e del “bel pastore” (Gv 10, 1-21), di quel Dio in “uscita” che si prende cura dell’uomo ferito (Lc 10, 25-37), di colui che ha “scantonato” (don Milani) e rischia di perdersi nella sua solitudine, ammantandolo di tenerezza.
Tutta la Chiesa, in particolare i consacrati e le consacrate, alla scuola del Vangelo e dei carismi, devono essere profezia di questa tenerezza che incontra l’uomo, ricordando all’umanità che la tenerezza non è debolezza, ma balsamo nei solchi della carne degli uomini, segno di una vita bella sbocciata nei cuori pacificati e liberi, evidenza della civiltà dell’amore.
I Santi sono i testimoni di questa profezia, loro hanno cambiato la Chiesa e la società, hanno trasformato il potere in servizio, il possesso in custodia. Sono loro i veri rinnovatori e consolatori, quelli che hanno intrapreso con coraggio il cammino dell’esodo del popolo, camminando umilmente in mezzo ad esso, operando scelte controcorrente, lasciandosi affascinare da una lettura più semplice del Vangelo.
Oggi, come sempre, occorre vivere la vita consacrata e ogni forma di vita credente, osando le “periferie” della storia. Non è semplice, perché accettare di “uscire” è già dramma, perché la stabilità e il consolidamento delle abitudini o dello stesso stato di vita rappresentano una definita sicurezza personale e collettiva.
Solo l’amore osa, solo l’amore mette a soqquadro le sicurezze personali e di sistema, solo l’amore libera dall’autosufficienza che blinda le esistenze e le relazioni, solo l’amore decentra, facendo vivere oltre il proprio io. Questa è la bellezza esistenziale di ogni battezzato, di ogni consacrato/a che “esce” da se stesso e impara a stare alla “sequela” di Gesù, che impara ad abitare le “periferie”, vero spazio esistenziale, dove ci si può perdere, ma dove si impara anche a farsi compagnia incontrando gli ultimi, quel “sub-umano” che in verità è avamposto dell’umanità, vera profezia per il mondo.
Da questa frontiera dell’umano, sul bordo della “siepe… mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete” (Giacomo Leopardi, L’infinito), o venendo “dalla fine del mondo” (Papa Francesco) si diviene capaci di vedere il presente, di vedere l’Oltre, perché l’escatologia –il Cielo sperato- non appartiene a coloro che saltano l’umano, ma a chi impegna tutta la vita a frequentare i solchi dell’umanità ferita. Le “periferie”, in questo senso, non sono “margine”, sebbene possano trovarsi al margine, ma rappresentano il cuore della realtà e dell’uomo, il cuore stesso della Chiesa e l’anticipazione delle realtà future. Comprendiamo allora perché l’esperienza del monachesimo e la sua dimensione profetica consista proprio nel “mettersi ai margini” per custodire “la grazia a caro prezzo”, diventando «una protesta vivente contro la mondanizzazione del cristianesimo, contro la riduzione della grazia a merce a poco prezzo»; «ai margini della chiesa, si trovava il luogo dove fu tenuta desta la cognizione della grazia a caro prezzo e del fatto che la grazia implica la sequela» (D. Bonhoeffer, Sequela, Queriniana, Brescia 2001, pp. 30-31). Questa è la vera “rivoluzione”, non solo sociale, ma soprattutto antropologica e teologale: avere uno sguardo aperto sul futuro buono di Dio, perché non è un mondo che sta morendo, ma un nuovo mondo che sta nascendo.
Certo, la vita consacrata in Italia, come in Europa, vive una fase di progressivo invecchiamento e di costante perdita di rilevanza sociale, fattori che segnano lo slancio missionario e il morale dei suoi membri, ma “senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del vangelo di smussarsi, il <sale> della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione” (Evangelica testificatio, 3). Pertanto, rimane fondamentale che le consacrate e i consacrati, sebbene ridotti numericamente, continuino ad essere traccia dell’Assoluto in un mondo che tenta di cancellare ogni traccia di Dio dal vissuto collettivo e pubblico, come dall’interiorità dei cuori; continuino a testimoniare la dedizione generosa a favore dei poveri.
In verità la debolezza, o la minorità, che solitamente è vista come condizione che rende inabili al servizio, quando vissuta evangelicamente non manca di essere feconda e creativa, perché non c’è nulla di più fecondo nella vita secondo lo Spirito di quando “non c’è nulla”, quando la relazione tra Dio e l’uomo è segnata essenzialmente da un cuore rivolto senza posa verso Dio (Os. 2, 16), partendo dal quale Dio si fa creatore e sposo (Os. 2, 20-21).
Rinnovare la stima e la gratitudine a tutte le consacrate e ai consacrati per quello che sono e testimoniano nel cuore stesso delle Chiesa e del mondo, significa fare nostre le parole accorate di Papa Francesco: “Invito voi, Pastori delle Chiese particolari, a una speciale sollecitudine nel promuovere nelle vostre comunità i distinti carismi, sia quelli storici sia i nuovi carismi, sostenendo, animando, aiutando nel discernimento, facendovi vicini con tenerezza e amore alle situazioni di sofferenza e di debolezza nelle quali possano trovarsi alcuni consacrati, e soprattutto illuminando con il vostro insegnamento il popolo di Dio sul valore della vita consacrata così da farne risplendere la bellezza e la santità nella Chiesa” (Papa Francesco, A tutti i consacrati, III, 5).

P. Luigi Gaetani, OCD
Vicario Episcopale per la Vita Consacrata Diocesi Bari Bitonto

XXXVII – GIORNATA PER LA VITA

 vitaMDF73770_3_43966152_300

SOLIDALI PER LA VITA

 

«I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita». Queste parole ricordate da Papa Francesco[1] sollecitano un rinnovato riconoscimento della persona umana e una cura più adeguata della vita, dal concepimento al suo naturale termine. È l’invito a farci servitori di ciò che “è seminato nella debolezza” (1 Cor 15,43), dei piccoli e degli anziani, e di ogni uomo e ogni donna, per i quali va riconosciuto e tutelato il diritto primordiale alla vita[2].

Quando una famiglia si apre ad accogliere una nuova creatura, sperimenta nella carne del proprio figlio “la forza rivoluzionaria della tenerezza”[3] e in quella casa risplende un bagliore nuovo non solo per la famiglia, ma per l’intera società.

Il preoccupante declino demografico che stiamo vivendo è segno che soffriamo l’eclissi di questa luce. Infatti, la denatalità avrà effetti devastanti sul futuro: i bambini che nascono oggi, sempre meno, si ritroveranno ad essere come la punta di una piramide sociale rovesciata, portando su di loro il peso schiacciante delle generazioni precedenti. Incalzante, dunque, diventa la domanda: che mondo lasceremo ai figli, ma anche a quali figli lasceremo il mondo?

Il triste fenomeno dell’aborto è una delle cause di questa situazione, impedendo ogni anno a oltre centomila[4] esseri umani di vedere la luce e di portare un prezioso contributo all’Italia. Non va, inoltre, dimenticato che la stessa prassi della fecondazione artificiale, mentre persegue il diritto del figlio ad ogni costo, comporta nella sua metodica una notevole dispersione di ovuli fecondati, cioè di esseri umani, che non nasceranno mai.

Il desiderio di avere un figlio è nobile e grande; è come un lievito che fa fermentare la nostra società, segnata dalla “cultura del benessere che ci anestetizza”[5] e dalla  crisi economica che pare non finire. Il nostro paese non può lasciarsi rubare la fecondità.

È un investimento necessario per il futuro assecondare questo desiderio che è vivo in tanti uomini e donne. Affinché questo desiderio non si trasformi in pretesa occorre aprire il cuore anche ai bambini già nati e in stato di abbandono. Si tratta di facilitare i percorsi di adozione e di affido che sono ancora oggi eccessivamente carichi di difficoltà per i costi, la burocrazia  e, talvolta, non privi di amara solitudine. Spesso sono coniugi che soffrono la sterilità biologica e che si preparano a divenire la famiglia di chi non ha famiglia, sperimentando “quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita” (Mt 7,14).

La solidarietà verso la vita – accanto a queste strade e alla lodevole opera di tante associazioni – può aprirsi anche a forme nuove e creative di generosità, come una famiglia che adotta una famiglia. Possono nascere percorsi di prossimità nei quali una mamma che aspetta un bambino può trovare una famiglia, o un gruppo di famiglie, che si fanno carico di lei e del nascituro, evitando così il rischio dell’aborto al quale, anche suo malgrado, è orientata.

Una scelta di solidarietà per la vita che, anche dinanzi ai nuovi flussi migratori, costituisce una risposta efficace al grido che risuona sin dalla genesi dell’umanità: “dov’è tuo fratello?”(cfr. Gen 4,9). Grido troppo spesso soffocato, in quanto, come  ammonisce Papa Francesco “in questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”[6].

La fantasia dell’amore può farci uscire da questo vicolo cieco inaugurando un nuovo umanesimo: «vivere fino in fondo ciò che è umano (…) migliora il cristiano e feconda la città»[7]. La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci attende e parte dal sì alla vita.

 

 

Roma, 7 ottobre 2014

Memoria della Beata Vergine del Rosario

 

 

Il Consiglio Permanente

della Conferenza Episcopale Italiana

 

 

 

[1] Papa Francesco, Viaggio Apostolico a Rio de Janeiro in occasione della XXVIII Giornata Mondiale della gioventù. Angelus,  Venerdì 26 luglio 2013.

[2] Cfr. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei medici cattolici, Venerdì 20 settembre 2013.

[3] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 288.

[4] Cfr. relazione del Ministro della Salute al Parlamento Italiano del 13 settembre 2013.

[5] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 54.

[6] Papa Francesco, Visita a Lampedusa. Omelia presso il campo sportivo “Arena” in Località Salina, 8 luglio 2013.

[7] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 75.

“STILI DI VITA” (alla riscoperta della propria umanità)

Immagine1


        “STILI DI VITA”

  AMORE E AFFETTIVITA’

gennaio 16 @ 19:3021:00

In una società che esercita una forte pressione in direzione dell’acquisizione di modelli di vita centrati sull’apparenza, sull’efficienza, sul benessere e spesso disattenti a significati più alti, vi proponiamo un percorso formativo che vuole offrire ai destinatari un piccolo contributo per la riflessione e, magari, renda capaci di comportamenti nuovi, anche difformi dalla mentalità corrente. Sarà un cammino fatto di sei  tappe, una al mese, in cui ci soffermeremo a riflettere, anche con l’ausilio di esperti, sulle esperienze  che si vivono nella quotidianità e a chiederci come la Parola del Signore possa introdursi feconda nella nostra vita .

(in particolare per genitori, per i coniugi, per le giovani coppie, fidanzati, e giovani)

Vi aspettiamo con gioia.

L’EQUIPE DI PASTORALE FAMILIARE

16/01/2015 ore 19,30   Amore e affettività (Salone Parrocchiale)

20/02/2015 ore 20,00   Carità e giustizia (Salone Parrocchiale)

20/03/2015 ore 20,00   Malattia e sofferenza (Salone Parrocchiale)

17/04/2015 ore 20,15   Rabbia e conflitto (Salone Parrocchiale)

15/05/2015 ore 20,15    Morte e speranza (Salone Parrocchiale)

09/06/2015 ore 20.15    Perdono e gioia (Salone Parrocchiale)

 

N. B.     Garantito servizio intrattenimento e animazione per bambini (presso la biblioteca parrocchiale)

 

Semplicemente… un augurio più umano di buon Natale!

«Tu sei Signore, dovunque l’uomo diventa più umano. Sei nel grido vittorioso del bambino che nasce, sei nell’ultima parola del morente, sei nell’abbraccio degli amanti. Tu sei in ogni senso di illuminazione, in ogni anelito di vita, in ogni segno di bellezza, in ogni sogno di bellezza, in ogni rinuncia per un grande amore. La tua venuta è nella certezza forte e inebriante che nel cuore di ogni essere vivente Tu sei» (P. G. Mannucci).



4.0.1

1 18 19 20 21